sabato 30 novembre 2013

Piccoli libri per piccoli tragitti. "Biografia di uno scrittore da quattro soldi" di....H. P. Lovecraft! La campana del maestro del fantastico con tanto di taccuino (giocabile) nel finale!

Visto che questa settimana sono stata parca di post, al posto della vignetta delle mie sfighe liceali, eccovi inaspettato un piccolo libro per un piccolo tragitto. Tenetevi pronti, tenetevi fermi si parla di Lovecraft!
 Dire che mi piace Lovecraft è un fatto scontato, egli era molto più che sommo e ne ho avito la conferma definitiva quest'estate. In genere io amo leggere horror in pieno agosto poiché trovo che l'insopportabile calura doni un tono particolarmente angosciante alle storie di fantasmi. C'è qualcosa di insano nei 40 gradi all'ombra che rende i famosi malsani miasmi evocati da Lovecraft e co. decisamente più sulfurei e maligni. Seguendo proprio un consiglio del caro Howard Phillips che annoverava James Montague Rhode tra i suoi scrittori preferiti, addirittura mito irraggiungibile, mi ero accisa a comprarne una raccolta di racconti che definire terribile è molto riduttivo. E', a voler esser buoni, un coacervo di vecchiume che forse nell'800 aveva un suo perché, ma adesso mostra tutta la sua corda stantia.
 E' incredibile come uno scrittore che non si faceva illusione sulla durata effimera dei suoi racconti né si aspettava di diventare un vero rivale dei suoi scrittori preferiti, li abbia in realtà fagocitati.
 Tutta questa intro perchè la casa editrice Mattioli 1885, sta pubblicando nella collana Experience Light una serie di libretti bellissimi, spesso brevi opere minori di autori molto famosi.
 In questi giorni è uscito "Biografia di uno scrittore da quattro soldi", una raccolta di brevi autobiografie che Lovecraft scrisse in diverse occasioni descrivendo la sua infanzia, giovinezza e talvolta anche il metodo di stesura delle sue storie.
 In genere le svariate peculiarità che costellarono la sua vita (il padre impazzito, la madre paranoica, le difficoltà economiche, gli studi scolastici spesso interrotti per motivi di salute) finiscono per tratteggiare i contorni di un uomo a voler essere buoni stravagante a voler esser cattivi fuori di testa. Come si suol dire, prima di giudicare bisognerebbe sentire tutte le campane, soprattutto perché qualsiasi cosa, anche la più assurda può avere una spiegazione razionale. 
 Ed è quello che emerge dai suoi autoritratti, spesso ironici, che svelano un uomo forse in difficoltà col suo tempo perché appartenente ad un'altra epoca, la nostra.
 L'aneddotica parte dai suoi giochi di bambino che prevedevano la costruzione di altarini pagani per irridere la religiosità della madre, per poi passare all'allestimento di un angolo arabo nella sua stanza grazie ai cimeli comprati al Damascus Bazaar di Providence. La passione per le mille e una notte, i miti greci e romani, la campagna del New England formarono le basi per le sue future storie, ma vennero accantonati per l'intera adolescenza, perché:
 "Per molto tempo dopo il mio dodicesimo compleanno, l'attrazione per altri mondi e per gli inimmaginabili golfi cosmici eclissò ogni altro interesse. Cominciai pubblicando un piccolo giornale ciclostilato "The Rhode Island Journal of Astronomy" e a sedici anni riuscii a debuttare finalmente in un vero gionrale che trattava di astronomia"

Fu infatti solo alla fine del liceo che iniziò a scrivere racconti fantastici che reputò talmente brutti da bruciare quasi in toto. Ebbe poi il tipico momento "poeta" che ogni adolescente sensibile finisce per avere e pure di quello non rimane quasi traccia. Iniziò a scrivere seriamente di narrativa fantastica solo dopo aver intessuto un carteggio con svariati autori e critici appartenenti alla United Amateur Press Association.
 "Quando si trattava di leggere, mescolavo con il più assoluto anticonformismo scienza, storia, letteratura tradizionale e fantastica con assolute cretinate per ragazzini, ma in quel momento ciò che mi impegnava di più erano voluminosi testi classici o scientifici, mentre il fantastico rimaneva in secondo piano.."

 I suoi corrispondenti lo convinsero che l'unico genere in cui scriveva storie degne di nota fosse il fantastico e ad esso si dedicò. Un genere che lo affascinava per la sua originalità di fondo:

 "Il trucco di un vero racconto fantastico sta semplicemente nel violare o nell'ignorare una legge cosmica immemorabile - una fuga con il pensiero dall'orripilante realtà: questo è il motivo per cui gli eroi, più che le persone sono evidentemente i fatti prodigiosi." 
Il suo meticoloso metodo di lavoro viene ben spiegato nel capitoletto intitolato "Parla Lo'v cr'-a'f"  (in originale "Ec'h pi-el speak"). Innanzitutto usava un metodo a due scalette: ne stilava una  con gli eventi della narrazione e una seconda con gli eventi in ordine cronologico. Poi scriveva la storia, generalmente col favore delle tenebre, "Alcuni miei racconti scaturiscono da sogni veri e propri. La rapidità e modalità di scrittura variano molto a seconda dei casi, ma lavoro sempre meglio di notte".
 Di seguito rileggeva la storia, ne rivedeva le porzioni, la credibilità e la coerenza dei personaggi e infine ne preparava una copia. Il tutto rigorosamente a mano: "Poichè odio la vista e il suono della macchina da scrivere la mia maggior paura è dattilografare i miei manoscritti..." (chissà cosa direbbe dei moderni computer).
 Il libro contiene poi una lunga serie di aneddoti personali. Io considero particolarmente commovente e vicino, il suo desiderio di ricomprare la casa della sua infanzia: "La mia speranza di ricomprarla "quando sarei diventato ricco" durò a lungo, ma dopo molti anni capii che mancavo totalmente di istinto e abilità commerciali" (a chi lo dici Lov!).
 E infine vi sono delle note e intuizioni per probabili racconti, contenute nei Taccuini 1919-1935.
 Io ne ho selezionate alcune che mi fanno particolarmente ridere perché o qualcuno si è ispirato ad alcune di loro nell'ultimo secolo o alcune idee sono ricorrenti nel genere umano.

56) Libro o manoscritto troppo spaventoso per essere letto. Quaòcuno è avvertito del pericolo, ma lo legge ed è trovato morto.

105) Un vampiro visita un uomo nella sua dimora ancestrale: "Sono tuo padre"...

128) Un uomo, a causa di un processo bizzarro, percorre a ritroso il cammino dell'evoluzione e diventa anfibio. Il dottore insiste che l'anfibio dal quale l'uomo discende sia ignaro alla paleontologia. Per provarlo conduce un bizzarro esperimento.

212) Uno o più strani esseri vivono in un'antica casa o in rovine molto distanti dalle zone abitate - nel vecchio New England o in una terra esotica. Il sospetto, basato sul loro aspetto e sulle loro abitudini, è che non siano totalmente umani.


Ovviamente il mio è un gioco, ma il libro ve lo consiglio davvero. Fossero tutti così gli scrittori da quattro soldi!

venerdì 29 novembre 2013

Il cliente illuminato. Comportamento, amici, letture e guru del cliente sospeso tra Sai Baba, Zen, tappetini per lo yoga e il Dalai Lama!

Prima di lavorare in libreria ignoravo l'esistenza di questa categoria: il cliente illuminato.
 Il cliente illuminato è il frutto di un'anomalia sociale nata probabilmente con Sai Baba e i Beatles, i viaggi in India, le canne e l'amore panteistico in abiti gipsy, che ha subito una potente virata di stile e intenti nei mai abbastanza dannosi anni '80-'90 grazie all'influsso della New age. La commercializzazione estrema ha trasformato la fricchettonata dell'amore panteistico in un calderone di spiritualità a portata di carta di credito e contante spalancando il vaso di Pandora della cristalloterapia, Yoga, erbe medicamentose, medicina alternativa e chi più ne ha più ne metta
 Gli anni duemila hanno introdotto il grande mondo della sostenibilità, del green e di una vaga consapevolezza. Sarà la crisi, sarà l'11 settembre, saranno tante cose che di sicuro una barca di sociologi veri avranno studiato in lungo e in largo, ma alla cristalloterapia si è aggiunto un settore teoricamente più serio e dal nome altisonante: le filosofie orientali.
 Il vero cliente illuminato odierno ha un profondo interesse per tutto ciò che ha le parole zen e buddista dentro. Non dovete immaginarvi un Hare Krishna o un fricchettone coperto di yuta davanti all'ennesima biografia del Dalai Lama, il cliente illuminato è sempre quell'ex appassionato di New Age degli anni '90.
 Veste perciò abiti civili pure quando è appena uscito dalla sessione di yoga e ha un tappetino rosa in braccio accanto alla borsetta di Louis Vuitton, in alternativa porta in coppia il borsone del cambio di Get Fit con la ventiquattrore.
 Il cliente illuminato raramente ha qualcosa a che vedere col cliente equo-sostenibile, di solito è donna, ma ci sono anche molti uomini che, al contrario del gentil sesso hanno un gusto personale più spiccato e brancolano meno del buio dei consigli di amici e parenti già illuminati da tempo.

Tipica espressione della
tipica amica.
 Nel COMPORTAMENTO abbastanza neutro del cliente illuminato ci sono due tratti ricorrenti.
L'amica. Qualsiasi cliente illuminata ha un'amica in genere non illuminata che però la asseconda con forza. A Roma immagino che le facce dell'amica compiacente sarebbero se non altro parlanti (Del tipo "Credi veramente a quello che mi stai dicendo??"), ma qui al nord dove regna l'educazione stucchevole, per l'amica della cliente illuminata si spalancano le porte del teatro nazionale. E' un'intera performance del "E' incredibile!" "Devo leggerlo!" "Ma certo, tu sei sempre stata così profonda!". Tale partecipazione appassionata è in genere seguita da un acquisto forzoso. L'amica illuminata non può infatti accettare che l'altra esca dalla libreria senza aver comprato almeno un Sutra. Fortunatamente per l'altra i libretti dei sutra vengono sui due euro, l'amicizia è salva, il portafoglio pure e tutti sono felici.


L'altro tratto ricorrente è la mania, in genere maschile, di ritrovare l'illuminazione nei libri che della gente a caso sta innocuamente leggendo sui mezzi pubblici. Immagino che il cliente interpreti una copertina che lo colpisce come un segnale divino, un inoppugnabile impulso del kosmo che gli sta dicendo: "Se mi leggerai ti darò la risposta a tutti  tuoi problemi".
 Peccato che il 95% della volte il cliente non prenda nota del messaggio divino e ti spieghi solamente, ispirato, "Un ragazzo in metropolitana aveva un libro arancione, in copertina c'era una donna che piangeva in una foresta con un cane e sono sicuro che nel titolo c'era la parola AMORE". E che, voi non siete in grado di ritrovare un libro tramite questi schiaccianti indizi??

Ma eccole le letture più comuni del cliente illuminato.

DAISAKU IKEDA:
Allora, siccome non ne capisco nulla di Buddismo, eviterò di infognarmi in pericolose facilonerie. Tutto quello che so di Daisaku Ikeda me lo hanno insegnato i clienti:
 A) Pubblica praticamente solo con la casa editrice Esperia.
 B) E' una sorta di capo della Soka Gakkai.
 C) La Soka Gakkai non viene considerata dai VERI buddisti vero buddismo e non so quante volte ho dovuto ascoltare le lamentele del buddista purista che mi rimproverava di aver infilato Daisaku Ikeda vicino  al "Libro Tibetano dei morti".
 Non so cosa sia, non lo voglio nemmeno sapere, tenetemi fuori da questioni di ripicche religiose per favore.
 Per il resto so che vende tantissimo e i suoi seguaci sono dei grandi appassionati di gadget religiosi, ma del resto un cattolico che critica un buddista per la sua passione per gli incensi e le campane, è un po' il bue che dice cornuto all'asino. Prima di criticare l'altarino buddista nelle case degli altri, guarda la collezione di statue con l'acqua di Medjugorie in casa tua.

DALAI LAMA e OSHO:
Manco maestro Miyagi aveva
questo sguardo.
Il Dalai è una certezza. Prima dell'avvento di Papa Francesco, grazie all'aspetto arcigno di Ratzinger era il leader religioso più pacioso e amato, ora la sua stella si è un po' offuscata, ma certo non il suo iperattivismo. Il pacioso uomo invita all'amore, alla felicità e ultimamente anche all'intelligenza emotiva  grazie ad un sodalizio con Goleman, altro riconosciuto guru del reparto di psicologia.
 Del Dalai voglio ricordare la (per me) assurda copertina di  "L'arte della pace interiore". A occhio la penombra della tempesta perfeta che lo avvolge mi pare opera di Annie Leibowitz. In ogni caso gli conferisce un certo stridente tono apocalittico.
 Osho invece viene ovviamente posto un gradino più basso sotto al Dalai, e ha un pubblico molto più ampio. Quello che mi chiedo sempre è quando ha trovato il tempo di scrivere così tanto nella sua travagliata vita. Tutte le volte mi rispondo che è sempre meglio non indagare. Non me ne vogliano i suoi seguaci, ma le sue frasi circonvolute sull'amore e la pace cosmica infestano così tanto i social network da rendere ormai difficile la distinzione tra una sua frase e una di Fabio Volo.
 "Se l'amore diventa profondo, resti in silenzio perché le parole ti sembrano inutili".
 Chi l'ha detto?

LO ZEN:
Lo zen è buono per farci tutto. Dalla corsa alla manutenzione della motociclcetta, dal tiro con l'arco all'innamoramento, meditazione, interpretazione degli uccelli, pulizie ed esercizi. Lo zen è fuori e dentro di noi. Grande best seller del Natale scorso fu il "Manuale di pulizie di un monaco buddista" che vende molto anche adesso. Solo che se alcuni libri sono anche profondi (a me sono piaciute molto le "101 storie zen"), di molti altri stento a comprenderne la differenza col megalibrone "Un corso in miracoli" e con tanti spaventosi manuali di leadership. 
Si tratta sempre di queste perle di due righe messe al centro della pagina coi consigli che sembrano quelli della vicina di tua nonna solo non in dialetto:
 "Copriti bene, non sai quando arrivano le intemperie della vita"
"Oggi piangi, ma domani non puoi sapere se riderai"
 "Se ti senti solo siediti e contempla un pesco, l'amore del mondo fluirà dentro di te"
"Se le cose vanno male stai fermo e aspetta".
 (Ovviamente non sto criticando il vero zen, ma l'uso bulimico che ormai se ne fa).

LO YOGA:
Un vero cliente illuminato pratica Yoga e ci tiene a farmelo sapere. A parte il succitato tappetino, talvolta di lancia in descrizioni della sua ultima sessione e dei suoi immensi benefici. DEVI farlo anche tu: i tuoi muscoli si stireranno, la tua mente sarà libera e brucerai tantissimo anche da ferma. Non ne dubito, come non dubito che mi farebbe benissimo, ma se dovessi seguire i consigli sportivi di tutti i clienti sarei una campionessa di centathlon moderno. Non paghi di praticarlo, i clienti vogliono anche capirlo e ti chiedono consigli: come mai non sai spiegargli da dove nasce lo yoga, chi lo ha inventato, quando e perchè? Come mai non sai la cronistoria ragionata di tutti i maestri? E' nato in Cina, India, Tibet o in nessuno di questi luoghi? Il libraio wikipedia che non sa rispondere viene fissato con riprovazione, ma grazie a dio, in genere, c'è sempre un collega illuminato a cui rigirare il questuante.
La voglia di seguire i suoi yogheschi consigli (e di metterti a leggere "L'autobiografia di uno Yogi") ti sono già passati. Che ce frega del tappetino noi c'avemo il divano.

 Ovviamente sono esclusi da questa mia disanima i veri clienti illuminati, i quali in genere, appunto perché lo sono, sanno già cosa cercare e non vengono a chiederti improbabili biografie. Al massimo si lanciano in commenti altezzosi su strane presenze libresche nel settore o ti fissano perplesso quando osi proporgli una versione de "Il sutra del loto" che è evidentemente non integrale.
 In genere non sono compassionevoli e panteistici con te. Ti guardano perplessi e stizziti e se ne vanno, Di sicuro in una libreria specializzata.

giovedì 28 novembre 2013

La differenza tra Harry Potter e Tolkien, quando il fantasy è per bambini e quando per adulti.

Oggi volevo dedicare il mio post alle Twilight moms e affini, ma visto che c'è stata una levata di scudi su Tolkien e Harry Potter infilati nei libri da leggere prima dei trenta, quasi considerassi il fantasy una cosa per bambini (dicevo prima dei trenta non dei dodici comunque), mi pare giusto e doveroso dedicare un post al riguardo.
 In libreria il fantasy è diviso in due zone, in modo del tutto arbitrario. Spesso mi viene da pensare solo per via della copertina, in questo caso il problema è del libraio, ma anche della casa editrice che confeziona il libro in modo esteticamente appetibile per una determinata fascia d'età. Ultimamente anche "Il gattopardo" ha la sua versione estetica per ragazzi. Notoriamente Tomasi di Lampedusa voleva scrivere un libro politico per dodicenni.
"Il trono di spade" la serie che dimostrò a sciure e padri della domenica che
il fantasy non è roba per bambini.
 Comunque, parte del fantasy viene infilato nella sezione per adolescenti, un'altra parte in quella appunto fantasy, il criterio è arbitrario. Puoi trovare la saga di Dragonlance nel reparto ragazzi e una cosa come "Shadows hunter" in quella per adulti. Licia Troisi, per dire, crea sempre grandi problemi: le avventure della mezzelfa Nihal per quale età sono state pensate? E sono state pensate per una determinata età?
 Questa confusione è ingenerata da un tema già affrontato: il pregiudizio in libreria. Si ritiene spesso a priori che il fantasy sia una questione per ragazzi, che una volta adulto è ora di smetterla di giocare coi nani e gli elfi e con gli anelli che qualche perfido signore aveva forgiato per domare qualcuno in un mondo che non esiste.
 Insomma, il concetto è "Cresci figlio che ormai sei grande".
 In generale il fantasy e la fantascienza sono sempre state vittime di un pregiudizio del genere, quindi non è neanche colpa dello specifico libraio o della casa editrice. Hollywood, come faceva notare qualcuno, ha parzialmente sdoganato il genere iniziando a produrre a più non posso kolossal tratti da qualsiasi libro o fumetto fantasy sia mai entrato in commercio. La HBO ha persino messo in mano a un'intera fascia di sciure e uomini dediti al Sole24ore una saga come "Il trono di spade". Tuttavia che il fantasy debba diventare mainstream per essere apprezzato come genere è un po' triste, il bello del fantasy che fu infatti era la possibilità di sperimentare, di reinventarsi e reinventare tutto proprio perché era libero di non essere doverosamente commerciale.

Harry Potter è, secondo me, un prodotto di questa commercializzazione del genere.
Personalmente io l'ho trovato carino (e soprattutto amo la storia personale della Rowling che, giovane madre single e disperata, ha scritto il primo libro scroccando caffé in un pub mentre ora vive in un castello), con spunti originali e molte buone idee. Tuttavia, come dicevo ieri, non è un libro per adulti. Non credo neanche che la Rowling lo abbia scritto per un pubblico adulto (quindi non possiamo neanche fare su di esso il lavorio de "Lo scrittore in realtà voleva comunicarci questo tramite una virgola posta in un punto specifico ecc. ecc.").
 Harry Potter è una buona idea, molto mainstream, capitata al momento giusto. Segue il semplice schema delle favole: l'orfano di entrambi i genitori che vive coi parenti cattivi, ma è buono e dolce, e che improvvisamente scopre di essere un mago (in genere scoprivano di esser principi e principesse). Ha un mentore, degli aiutanti, degli amici, degli oggetti magici, delle prove da superare e persino un nemico che è la sua nemesi. Lo schema che funziona da migliaia di anni è semplice e basilare. La Rowling l'ha unito ad una componente fortemente pop, in più ha avuto l'immensa fortuna di essere inglese in un mondo di dominazione culturale anglosassone. Il successo non era scontato, ma caldeggiato da alcune circostanze fortunate. Onore al merito alla Rowling, ma un adulto non può avere Harry Potter come libro favorito.
Altro discorso è Tolkien. Tra i due corre come minimo la differenza che c'è tra "Pinocchio" della Disney e quello originale di Collodi. Due mondi uniti da qualcosa ma diversi come il giorno e la notte.
 Io non penso che Tolkien sia per bambini, (a parte "Lo Hobbit" che è scritto bene, ma fatico a trovarci un senso che vada oltre la favola). Tanto per scagionarmi posso persino dirvi che, sull'onda emotiva della seconda lettura del "Silmarillion" mi iscrissi persino alla società tolkieniana, che mi mandò poi i suoi libretti per anni continuando a vantarsi che tra gli aficionados c'era anche Kossiga.
 Mi pentii di tale adesione al suono degli strilli dei miei amici frikkettoni appassionati di fantasy: Tolkien era un fascista, i campi hobbit, gli elfi sono come i nazisti, Frodo e Sam simboleggiano il popolo ebraico. Siccome desideravo che il fantasy rimanesse solo tale e non sconfinasse nella Storia, decisi di non indagare ulteriormente al riguardo e non rinnovai la tolkeniana kossighiana tessera.
"Minas Tirith" una delle due riviste
della Società tolkieniana.
 Ero la classica unica ragazza che gioca in un gruppo di soli maschi a Dungeons&Dragons, solitamente sceglievo di essere un bardo mezzelfo senza alcuna capacità degna di nota che tutti finivano per odiare. Ho fatto anche la master talvolta e mi sono letta tutti i racconti del sommo, quelli perduti, quelli ritrovati, quelli incompleti, almeno tre volte la trilogia.
 A diciassette anni se mi avessero proposto di passare una nottata filata a giocare di ruolo sarei stata in prima linea, a venticinque ancora mi sarei prestata ad una maratona notturna al fianco di Aragorn con i pop corn in braccio. Poi un giorno è successo un fatto tragico.
 Mi hanno invitata a giocare ad un gioco di ruolo dal vivo.
 Chiunque abbia mai giocato di ruolo al tavolo sa che ci si diverte tantissimo, che il tempo vola e che per giorni finisci a fare battute sullo zainetto pratico di Heward, l'incantesimo dell'intralcio e dell'unto usati nell'ultima sessione e l'ultimo dragone ucciso. Potresti dissertare per ore sul valore dell'ultima edizione di Forgotten Realms, passare giorni a cucirti un mantello da Hobbit per carnevale (se non capite di cosa sto parlando non preoccupatevi) e discutere delle ultime web comics dedicate.
 
Ecco, era una cosa del genere, con vestiti più brutti.
Poi però per la maggioranza giunge il momento tragico della riemersione.

Il mio fu quando mi ritrovai ridicolmente in mezzo ad un bosco a fingere di essere un bardo che con la forza del mio canto convinceva i nemici a non giustiziarmi. Fingendo di parare colpi e dover morire, mi sentii di colpo molto ridicola e non riuscii a continuare.
 Da quel momento in poi la mia fervida passione si ridimensionò, pian piano trovai altre cose a cui dedicare le ore di Dungeons&Dragons e iniziai a vestirmi da altro a carnevale (in realtà smisi di travestirmi se escludiamo l'eccezione che mi vide ricoperta da un cartone disegnato un triangolo: il tema della serata era "Gli dei" e mi ero vestita da dio). Apprezzo ancora le web comics a tema, i film (anche lovo molto "Il trono di spade") apprezzo ancora Tolkien che mi piace rileggere (e mi piace anche la trilogia di Jackson), ma penso che sia un fervore che vada provato prima di una certa età.
 Quando mi capitano in libreria questi appassionati tardoni mi fanno un po' tenerezza, penso che si siano persi tanto a non accorgersene prima, che l'immaginazione e la passione di una certa fase della vita non tornano più. Però oh, mica sò onniscente, magari tra vent'anni rileggo 'sto post e mi pare una cavolata, che anzi, Tolkien se non lo leggi a 50 anni che cavolo vuoi capire??
 Solo gli stolti non cambiano idea.


ps. Se questo post vi ha appallato, sappiate che potrete sempre recuperare con quello sulle Twilight Moms su cui le mie ricerche continueranno anche in questo travagliato pomeriggio.

mercoledì 27 novembre 2013

Libri da leggere prima dei trenta. Da Tolkien alla trilogia di Calvino, da Harry Potter a Salinger i tomi che sarebbe meglio leggere prima di passare la fatidica soglia di non ritorno.

Per chi si fosse perso il perdibilissimo film, si tratta
di un'immagine de "Il ritratto di Dorian  Gray".
In questi giorni di assoluto (per me) caos, ho scovato su fb un post molto carino: cose che provano che sei terribilmente vicino ai 30 anni.. Con mio sommo orrore mi sono resa conto che vengo colta in fallo in quasi tutti i punti (quelli che eludo sono principalmente cose di cui non me ne è fregato nulla). Che fossi sulla soglia dell'età adulta me ne ero resa conto già l'anno scorso, quando ad un Capodanno ad Amsterdam a fare mille pazze pazze follie con l'amica fricchettona che ognuno di noi ha, ho preferito Siena con tanto di abbontante visita ai monumenti. Il momento in cui preferisci una città d'arte ad un ostello con camerate da sedici, ubriacature moleste e notti deliranti, è il sintomo più chiaro che l'età adulta sta arrivando.
 Qualche tempo fa su anobii avevo avuto una discussione con un ragazzo di 16 anni che non era concorde con la mia recensione di un libro, gli dissi che a mio parere non poteva essere obiettivo perché non aveva l'età giusta per capire. Se la prese malissimo perché pensò che lo trattassi da cretino (io alla sua età avrei fatto la stessa cosa), ma è una questione di cui sono convinta: certi libri, certe canzoni, certi argomenti li capisci e li apprezzi solo se capitano all'età giusta.
 Se leggi troppo presto un libro non lo capisci fino in fondo, se lo leggi troppo tardi è ancora peggio perché hai perso il sacro momento e non tornerà più.
Io non sono della scuola di Giorgio Faletti, le cui parole, poste dietro alla sua ultima umilissima biografia "Re Giorgio" recitano: "Mi sento un ragazzino. Sul mio epitaffio scriveranno qui giace Giorgio Faletti, morto a 17 anni. Ho tanta energia e voglia di mettermi in gioco. Non ho paura di rischiare." 
 Questi sessanta-cinquanta-quarantenni che si sentono tanto ragazzini sono secondo me la rovina del mondo. Se hai 40 anni devi sentirtene 40 e non vuol dire che ti senti vecchio, ma che sei una persona che si comporta, pensa, cresce e legge come un quarantenne, altrimenti è un attimo che mentre gigioneggi in giro surfando come un diciottenne, il mondo fallisce.
 Vabbeh, tutto questo per dire cosa? Che ci sono dei libri che, se siete prima della fatidica linea di demarcazione dei 30 anni dovete assolutamente avere GIA' letto. Dopo, fidatevi di me, sarà troppo tardi. Ma andiamo a vedere i casi più comuni.

IL GIOVANE HOLDEN:
Il giovane Holden fa parte di quei libri che sarebbe meglio leggere prima dei 25 anni addirittura, dopo se ne apprezza la scrittura, ma certo non il contenuto. I romanzi di formazione danno il meglio di loro se sei ancora dentro alla fase di trasformazione (anche se ritieni che non ti riguardi o non te ne rendi conto), altrimenti rischi persino di cadere nella trappola del vegliardo che giudica il protagonista. "Eh, figlio mio, ma pure te, non lo capivi che il professore ci stava a provà?" "Ragazzo mio, ma tutti questi problemi dai a tua madre con le disgrazie che ha avuto?". 
 Il romanzo di formazione contiene anche un errore inverso: leggere troppo giovani un romanzo di formazioni future.
 Lessi anni fa, inconsapevolmente, "Solitudini imperfette" di Andrea Mancinelli. Dovevo rendermi conto che era un errore sin dalla copertina con un triste spazzolino abbandonato nella penombra. Una tragedia in cui un fresco trentenne fa tutto quello che ci aspetta da lui nella Milano da bere: il manager, tanto sesso, tanti aperitivi e tanti rimpianti. Ah, se non mi fossi lasciato sfuggire l'amore della mia vita! Ah, se non fosse morto il mio migliore amico! Una Caporetto dei trent'anni in piena regola. Appena chiuso, speravo che per me non arrivassero mai, anche se l'unica alternativa era la tomba.

HARRY POTTER:
Ok, lo so, ci sono diverse correnti di pensiero al riguardo, ma secondo me Harry Potter va sicuramente letto prima dei trent'anni. Alla stregua de "Il piccolo principe" sta diventando una di quelle saghe feticcio del cliente che non smette MAI di sognare. Se ritenete a 40 anni che il vostro libro preferito sia "Harry Potter e la pietra filosofale" c'è qualcosa che non va e non perché non mi piacciano strillettere e caramelle tutti i gusti più uno. Harry Potter è il classico libro senza sottotesto: vuole significare solo ciò che è. Ha tanta fantasia, ma nessun messaggio particolare. Sì, il bene vincit omnia, Harry Potter sopravvive grazie all'amore di sua madre e l'amicizia è il vero collante della vita, ma queste sono verità assolute che valgono solo se hai meno di una certa età, dopo sai benissimo che non è così e certo non perché di colpo diventi cinico. Minerva McGrannitt non ha problemi sentimentali e manco una vita privata e non è nemmeno la metafora di un sentimento o di un'idea superiore. Hermione Granger si sposa col suo migliore amico e diventa un pezzo grosso del ministero della magia, non ha intralci nel suo luminoso cammino. Harry ha una cotta della bandiera per Chang prima di accasarsi in via definitiva a 18 anni. Voldemort è kattivo perché aveva un problema col padre e perché era kattivo, ma non ha una vita interiore di nessun genere.
E', manco a dirlo, un libro per bambini al massimo ragazzi (sono pure generosa a metterlo prima dei 30, andrebbe letto prima dei 20).

LA TRILOGIA DI ITALO CALVINO:
E' INDISPENSABILE leggerla prima dei trenta. Non perché Calvino non sia bello dopo, Calvino è bello sempre. Semplicemente non ci si può appassionare con lo stesso struggimento, partecipazione e convinzione alle tre storie allegoriche. Qui c'è il sottotesto che manca ad Harry Potter, ma è un sottotesto che si può apprezzare pienamente solo prima che la vita venga a convincerti che no, le cose non funzionano proprio così. Puoi forse capire la magia della frase che tutti gli adolescenti vittime delle letture scolastiche (di cui io sono una fervida sostenitrice) si sono prima o poi scritti sul diario: "Certe volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane"?
 No, un trentacinquenne non può più (può rimpiangere di non averlo fatto prima) e in realtà neanche il sedicenne col diario capisce le tanti sottili metafore de "Il barone rampante" apocalittica metafora su chi è disposto a modellare pervicacemente la propria vita secondo un'idea o una vocazione inoppugnabili. Quanti ci riescono? Quanti anni si hanno a disposizione per non leggere "Il barone rampante" con la spinta a voler fare sempre meglio, a seguire le proprie convinzioni, a fronte del tempo sterminato che ci resta per rimpiangere di non averlo fatto?

IL SIGNORE DEGLI ANELLI:
Ecco papabili risultati di una tarda lettura di Tolkien.
In verità "Il signore degli anelli" è un libro che va maneggiato con cura. Sarebbe meglio leggerlo prima dei trenta perché si è ancora abbastanza lucidi da prenderlo per quello che é: un libro di fantasia. 
 Dopo una certa età, quando si è ormai disposti ad attaccarsi a tutto pur di trovare un senso alla propria vita, rischia di diventare una guida per l'esistenza per più di una persona. I casi clinici al riguardo possono diventare due: il nerd in età avanzata o l'uomo (principalmente son uomini le vittime) convinto che Tolkien ne sappia più della Bibbia.
 Il Nerd in età avanzata, convinto che debba trovare una passione che dia una sferzata di energia alla propria esistenza, se non si dà all'oratorio può trovare grandi alternative nel grande mondo degli appassionati del fantasy, una congrega di cui parlerò, aperta e criptica al tempo stesso, che parla solo nel linguaggio cifrato dei giochi di ruolo. Se un trentacinquenne legge Tolkien e in contemporanea un suo amico gli fa conoscere Dungeons&Drangons è un secondo che inizierà a cadere in un vortice che implicherà "Il trono di spade" (altro grande portale per entrare nel mondo degli old nerd), "Star Trek", "Star wars", modellini per giocare a Warhammer e vestiti per picchiarsi nei boschi vestiti da elfo.
 L'uomo convinto che Tolkien ne sappia più della Bibbia, mantiene invece un comportamento più composto, ma rischia di citarti il sommo nelle occasioni più imprevedibili, per poi scuotere saggiamente la testa quando cerchi di comunicargli che, passi "Il signore degli anelli", ma "Lo Hobbit" è davvero un libro per bambini.
 Stolti, siamo solo degli stolti ai suoi occhi.

 E voi? Ritenete ci sia qualche libro da leggere assolutamente prima dei trenta? Comunicatemelo che inizio a darmi da fare!

domenica 24 novembre 2013

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Acquisti consapevoli".

Molti clienti hanno convinzioni etico-commerciali molto definite, peccato che non sempre siano adeguatamente informati sui fatti.
 

 
La storia realmente avvenuta di cui sopra ha causato una spiegazione all'incredula cliente che non si capacitava di aver ignorato un fatto tanto fondamentale per i suoi acquisti.

sabato 23 novembre 2013

I dolori della giovane (non ancora) libraia. "Il dolce stil novo"!

 Dopo il post serale dedicato agli orrori piddini in libreria, eccovi la vignetta del sabato ( da me preparata in un assurdo bar cinese). I dolori della giovane (non ancora) libraia.
 Sempre per chi si collegasse su questi schermi solo ora, sono gli strafalcioni della mia classe al liceo, in ogni caso potete andare a leggervi il sempre citato post d'inizio: I dolori della giovane (non ancora) libraia.


Ebbene sì, Luisa Porcus, la mia altissima compagna di classe non proprio raffinatissima, fu tra le più grandi donatrici di perle della mia classe. Questa le fece meritare un 4 e causò quasi un infarto alla Armerì, che peraltro era una delle sue vittime preferite.
 Uno strafalcione degno di Renzi.

venerdì 22 novembre 2013

Il Pd visto dalla libreria è solo un'illusione, un punto poco fermo in preda alla sua rotazione. Titoli, copertine e drammatiche associazioni di idee piddine tra gli scaffali delle librerie.

I Delta V. Li ricordate?
 L'altro giorno stavo fissando la sezione di politica e notavo che ultimamente sono usciti tanti di quei titoli sul Pd da poterci riempire una biblioteca. Al seguito di questa mia perspicacia, nel mio cervello è partita, (per un'associazione di idee che mi inquieta francamente) una canzone dei Delta V che tutti gli adolescenti di fine anni '90 inizio 2000 potranno agevolmente ricordare:

"Il Pd visto dalla libreria è solo un'illusione
un punto poco fermo in preda alla sua rotazione
è il sogno di un illuso che non si è più risvegliato
e noi fantasmi non crediamo che al nostro passato"

 Dunque, questo non è un post sul Pd, alchemica infelice creatura nata da gente di sinistra che si è lasciata fregare da un manipolo di falsi agnelli ex democristiani, ma sul Pd visto da una libreria. Se una persona senza alcuna conoscenza del nostro sistema politico entrasse in libreria (il solito sventurato alieno che viene tirato in ballo in tutte le questioni del mondo e che probabilmente proprio per questo si guarda bene dal venirci a trovare), cosa immaginerebbe prendendo spunto solo dai titoli e dalle copertine dei libri?
 Ve lo dico subito. La destra praticamente non esisterebbe.
  Berlusconi non scrive libri, manco li fa scrivere, non se ne prende proprio pena, perché?
La gente di destra non scrive libri, se lo fa ci racconta principalmente i cavoli suoi, come ha fatto carriera, come fa bene il sindaco, al massimo, se proprio un'elezione alle porte lo richiede, una specie di visione del futuro. Non lo fa perché tanto sa che non vende. Berlusconi, per dire, che in questo caso possiamo nominare a pieno titolo, è sempre ovunque, in ogni dove, in libreria non c'è MAI.
I motivi possono essere vari, i due principali sono secondo me:
A) La gente che vota Berlusconi lo fa a prescindere, non ha bisogno di leggere il suo programma.
B) Come non trovi un italiano disposto a votare Berlusconi, non ne trovi manco uno disposto a farsi vedere con un libro scritto da lui.
 Il Pd, la sinistra in genere ha invece una spasmodica grafomania. Qualsiasi dirigente del Pd ha scritto almeno un libro (anche romanzi, francamente risparmiabili) sulla sua visione del mondo, del futuro, sui leader politici che ama, sulle sue interviste, sulla sua infanzia ecc. ecc. ecc.  Lievemente meno egocentrici di quelli di destra soffrono però della grave sindrome delCAPRO ESPIATORIO.
 Ora, io sono anni che mi chiedo chi caspita siano i creativi, i sommi della comunicazione dietro al Pd, e in mi sono sempre chiesta: perchè non sono ancora stati doverosamente licenziati?
 Se il povero alieno entrasse in libreria in questo momento, questi sarebbero i titoli inerenti al Pd che si troverebbe davanti.
 Fabrizio Barca: "Il triangolo rotto". Cos'è che non va? Beh, se qualcosa è rotto, non va per il verso giusto, quindi siamo nei guai e sicuramente se metti nel sottotitolo la parola Pd è pacifico che il cliente leggerà solo "Pd-Rotto= Perdenti". Di seguito eccolo scrivere "La traversata", una cosa che come minimo ti fa venire stanchezza e senso di dispersione a prescindere: cosa dobbiamo attraversare? L'oceano? I voti di Grillo? La sfiga?
Di Laura Puppato (un altro caso in cui sarebbe meglio evitare la foto al centro della copertina che fa tanto giornale tipo "Confidenze" o qualcosa Antonella Boralevi style) il significativo titolo "Voglio il mare non una pozzanghera"

Voglio sapere chi ha avuto la geniale idea di ficcare la parola POZZANGHERA nel titolo di un libro di politica. La prima immagine mentale che si è formata nella mia testa è stata: Laura Puppato in una pozzanghera, che per una ex candidata alle primarie nazionali non è proprio il top dell'immagine pubblica.
 Sempre sul mesto anni fa era andata anche la governatrice del friuli, Debora Serracchiani con "Il coraggio che manca" di cui vi sconsiglio caldamente la lettura se, per caso, aveste una buona idea di lei come politica. 
 Ma passiamo ai grandi comunicatori: Civati e Renzi. 
 Civati punta sull'immagine del dissidente, dal vivo è pure bravo, ma veder girare per gli scaffali il suo "Non mi adeguo. 101 punti per cambiare" dopo che esattamente 101 persone hanno fatto la festa a Prodi, non ti fa sorgere proprio dei buoni pensieri.
 Peraltro sui famosi 101 mysteriosi traditori stanno uscendo svalangate di libri, ovviamente tutti dai titoli truci, spaventati, disperati: "I tre giorni che sconvolsero il Pd" di Zampa, "Chi ha suicidato il Pd" di Alessandro Giglioli e "Giorni bugiardi" di Stefano Di Traglia e Chiara Geloni.
 Pure qui, capisco la guerra interna, ma il famoso alieno cosa pensa? Ad un partito diciamo come minimo allo sbando totale (oltre che morto e sepolto). 
  Ma dicevamo, l'altro grande comunicatore, il salvatore della patria Renzi, che cosa ti sforna? Visto che è il sindaco di Firenze non può che scrivere un libro intitolato "Dolce stil novo" (meno male che non è il sindaco di Roma, se no volevo ridere con le rime del Belli), un terrificante, fortunatamente non facilmente reperibile "Tra de Gasperi e gli U2" (uno dei libri con le copertine più surreali mai viste) e gli imperativi "Fuori!" e "Adesso!".
Dedicate 1 minuto di terrore
a questa copertina.
Peraltro, a me Fuori! fa pensare al famoso circolo omosessuale, ma in generale era un italico dittatore ad amare le poche parole.
 Il tocco da maestro è poi il meccanico "Oltre la rottamazione" che non parla di incentivi della Fiat, ma del futuro della sinistra dopo che come Grillo anche lui ha mandato a casa tutti. A parte il titolo inquietante, ciò che inquieta molti elettori (o ex elettori) di sinistra è la casa editrice. Se il buon Bersani si affida ancora agli Editori Riuniti, lui punta alla Mondadori. Ora capisco che Mondadori=Berlusconi è un'associazione di idee facile facile, ma il cliente talvolta questa associazione mentale la fa e non è una bella associazione (io credo).
 Il povero Bersani invece, aveva tentato la carta del grande lavoratore che si rimbocca le maniche su "Bersani" di Ettore Maria Colombo (io peraltro proporrei una moratoria: se siete uomini e il vostro secondo nome è Maria, non lo usate, per favore). Carta che forse andava bene in un altro tempo nostalgico, ma ora che si preferiscono ciarlatani in doppio petto e capelluti imbonitori, è ormai sorpassata.
 Questa Caporetto di inquietanti titoli non ha ancora considerato quelli SUL Pd come "Hasta la sconfitta siempre?" o "Chi ha sbagliato più forte", che io capisco l'autocritica, ma non l'affossamento totale.
 Quello che voglio dire  è che se il Pd vuole darsi una mossa (ammesso e non concesso) la prima cosa che deve fare è smetterla di piangersi addosso, di mettere pozzanghere e triangoli rotti nei titoli e immagini del simbolo del Pd impallinate dalla copertina.
 E magari prendere un po' ad esempio chi ha avuto ancora la fortuna di andare a Frattocchie, come Achille Occhetto che ha intitolato un suo recentissimo tomo "La gioiosa macchina da guerra".
 Voglio dire "gioiosa" e "guerra". Due parole così nel titolo fanno già un altro effetto, e un'altra idea.

giovedì 21 novembre 2013

Piccoli libri per piccoli tragitti. "Lo zen nell'arte della scrittura" di Ray Bradbury o anche la gioia dello scrivere e il tradimento dei libri.

 Non so se la rubrica diventerà settimanale, ma insomma questa settimana ho un piccolo libro per un piccolo tragitto da consigliarvi ergo ve lo consiglio. Non so se vi addentrate mai nella magica sezione di scrittura creativa, prima di lavorare in libreria io lo facevo raramente perché ho sempre pensato che: A) Tanti consigli finiscono per confonderti/influenzarti- B) Non penso che possa realmente esistere un manuale di scrittura creativa. A mio parere o sai scrivere o non lo sai. Anche se, vista la quantità di porcherie che giungono giornalmente, mi rendo conto che la facoltà di discernimento e l'autocritica non sono di questo mondo.
 Da quando lavoro nel sacro luogo invece, mi sono resa conto che nella sezione di scrittura creativa ci sono effettivamente dei manuali, ma soprattutto è infarcita di piccoli, incantevoli libri che ti spacciano come consigli di grandi scrittori, quando sono solo raccolte di articoli e saggi che nel corso della loro vita tali sommi hanno scritto a proposito della propria carriera.
 Nella massa ho trovato questo bellissimo libretto di Ray Bradbury edito dalla DeriveApprodi: "Lo zen nell'arte della scrittura". Ok, sono d'accordo con chiunque provi orticaria, disgusto e ribrezzo per qualsiasi libro si intitoli "Lo zen e l'arte di fare qualcosa". Ormai con lo zen ci puoi fare tutto, le pulizie, innamorarti, scalare una montagna, cucinare un uovo. Lo zen è fuori e dentro di noi. 
 Tuttavia devo scagionare il curatore dell'edizione italiana: non è stato lui ad inventarsi il titolo per far alzare le vendite, "Lo zen  nell'arte della scrittura" è proprio il titolo di uno dei saggi contenuti in questa raccolta del caro Ray. Se mi si permette peraltro, il più brutto. Dal mio punto di vista infatti, la scrittura non ha proprio nulla di zen, anzi, è un continuo affannare, arrabbiarsi, cercare e sentirsi ora felici ora frustrati. Ma Ray ha sicuramente più ragione di me.
In questo piccolo libro Ray Bradbury fa secondo me una cosa da vero scrittore: è sincero senza smantellare il mito. Io gli scrittori che mi dicono che è tutta fatica e tecnica e il talento c'entra fino ad un certo punto non li capisco. Sembra che facciano i servi della gleba, tanto che ti viene da dirgli, guarda falla finita con questa sofferenza e molla la penna, il pc o qualunque cosa usi per scrivere e vai a fare l'ingegnere. La gioia infatti è uno dei caposaldi del mestiere di scrivere di Bradbury, per lui chiunque non la provi è un falso scrittore

"Ho sempre cercato di scrivere la mia storia. Dategli un'etichetta, se volete, chiamatela fantascienza o fantasy o mistery o western. Ma, nel profondo, tutte le buone storie sono un solo tipo di storia, la storia scritta da un singolo uomo e dalla sua verità individuale. [...] Com'è che uno si dà per vinto? Perchè sceglie degli obiettivi incoerenti. Perché vuole la fama letteraria troppo presto. Perchè vuole guadagnare troppo presto"

 Tutte problematiche che affliggono tanti pseudoscrittori (anche di successo) di adesso. Siamo pieni di giovani prodigi che non si ripetono, di libri con trame vergognose, di guizzi magari d'inventiva che si perdono nell'inesperienza. Anche secondo me non c'è per forza bisogno di essere un enfant prodige. Ci può volere del tempo a trovare la propria storia.

"Nel corso del mio ventesimo e ventunesimo anno di età, ho girato intorno a mezzogiorni estivi e a mezzanotti di ottobre sentendo che nelle stagioni chiare e in quelle scure ci doveva essere qualcosa che ero veramente io. L'ho trovato infine, un pomeriggio. Avevo allora 22 anni"

La storia che iniziò a rendere Bradbury (secondo le sue testuali parole) un vero scrittore fu infatti "The Lake", scritto a 22 anni. 

"Scrissi il titolo "The Lake" sulla prima pagina di una storia che sarebbe finita due ore più tardi. Due ore dopo ero seduto alla macchina da scrivere sotto un portico al sole, con le lacrime che cadevano dalla punta del mio naso e i capelli dritti sul collo."

Per dieci ininterrotti anni, Bradbury aveva inseguito una buona storia. Il suo metodo di lavoro era la continua riscrittura settimanale di un racconto che abbozzava di Lunedì. Indefessamente provava e provava, senza perdersi d'animo, poi un giorno venne "The Lake". 
 Altra genesi interessante è quella dello splendido "Fahrenheit 451", raccontata nel saggio "Investire gli spiccioli" parla invece delle mille distrazioni che uno scrittore con una vita familiare e sociale non infelice deve affrontare per costringersi in casa a scrivere invece di scorrazzare per il mondo.
 "Non lo sapevo, ma stavo letteralmente scrivendo un romanzo da quattro soldi. Nell'estate del 1950 mi costò 9 dollari e 80 cents scrivere e terminare "The fire man" che più tardi sarebbe diventato Fahrenheit. 451"

Tentato infatti dal continuo giocare con le due figlie piccole, Bradbury si chiudeva nella sala dattilografia della biblioteca dell'Università della California, lì noleggiava una macchina da scrivere per mezz'ora e poi scriveva come un pezzo per far rendere al massimo il suo investimento. In capo a poche settimane il capolavoro che tutti conosciamo era tra le sue mani.
 C'è poi il capitolo dedicato alla lettera di un prestigioso ammiratore, un curioso articolo sul suo odio verso i paesaggi irlandesi (li detestava), un'immaginaria Repubblica di Platone robotica in cui una generazione di ragazzi e bambini convince bibliotecari e professori a leggere Asimov e a nutrirsi di fantascienza.
 Poi, cita un lungo pezzo di "Fahrenheit 451", il momento in cui Montag, il pompiere, entrando in casa del suo capo Beatty, scopre che è piena di libri. Ne domanda le motivazioni, sconcertato, e Beatty gli risponde che lui possiede quei libri, ma non li legge, li lascia morire, perché loro lo hanno tradito.

 "Io i libri li ho mangiati come l'insalata, i libri sono stati il mio sandwich a pranzo, il mio pasto, la mia cena e il mio spuntino di mezzanotte. Ho strappato le pagine, le ho mangiate col sale, le ho condite con salsa piccate...E poi..."
 E Montag, prontamente, "E poi?"
"Beh, la vita mi è venuta addosso". Il capo dei pompieri chiude gli occhi per ricordare. "La vita, la solita, la stessa. L'amore che non era proprio quello giusto, il sogno che si è inacidito, il senso che andava a pezzi. La morte che è andata troppo presto dagli amici che non lo meritavano, l'omicidio di qualcuno o di qualcun'altro, la pazzia di qualcuno vicino, la morte lenta di una madre, il suicidio improvviso di un padre, una carica di elefanti, un attacco di malattia. E da nessuna parte, da nessuna parte quello giusto per quel momento, da infilare nel muro pericolante della diga che crolla per mandare indietro il diluvio, dare o prendere una metafora, perdere o trovare una similitudine. E al confine lontano dei trenta e vicino all'orlo dei trentuno, mi sono tirato su, tutte le ossa rotte, ogni centimetro della mia carne scorticato, ammaccato, sfregiato. Mi sono guardato allo specchio e ho trovato un vecchio perso dietro la faccia spaventata di un giovane, ho visto l'odio per tutto e per tutti, così lo chiami tu, che vada in malora, e ho aperto le pagine dei libri della mia bella biblioteca e cosa ho trovato? Cosa? Cosa?"
Montag suppone "Le pagine erano vuote!"
"Perdinci! Vuote! Oh, c'erano le parole, sì, sì, ma correvano sui miei occhi come olio bollente, non significavano niente. Non davano nessun aiuto, nessun sollievo, nessuna pace, nessun rifugio, nessun vero amore, nessun letto, nessuna luce."

 Scusate la lunga citazione, ma era incantevole e la sento particolarmente adatta a queste giornate, per me, un po' difficoltose. In ogni caso il libro è incantevole e dimostra che per fare lo scrittore la prima cosa che serve non è la fatica, ma la gioia di scrivere.
 Leggetelo leggetelo leggetelo (e fatemi sapere!).

mercoledì 20 novembre 2013

Il libro come OGGETTO. Dalla burla editoriale di Luca Fadda al collettivo Libri Finti Clandestini. Cosa fa di un libro un libro? (Con intervista finale al collettivo!)

Questa primavera, nella sgargiante Milano, ero l'unica persona completamente disinteressata al salone del Mobile. Pensando fosse una specie di fiera per amanti dei comodini del '700, mi sfuggiva questo grande fervore. L'ultimo giorno, in preda alla curiosità, sono andata al cosiddetto fuorisalone e mi si è aperto un mondo. Praticamente il salone del mobile è in verità una sorta di salone del design internazionale, pieno di eventi ed esposizioni. (Tale spiegazione è dovuta alle persone che in Italia ancora lo ignoravano (forse ero solo io, in tal caso potete pure schernirmi). Presso l'OCA, ho trovato un adesivo che mi ha molto incuriosito e portava la dicitura "Libri finti clandestini".
Cos'era mai questa cosa? L'ennesima hipsterata? L'ennesimo attacco di guerrilla marketing? 
 il web mi ha risposto. Libri finti clandestini è un mysterioso collettivo di stampatori che produce manualmente libri usando solo carta trovata in giro. Se andate sul sito librifinticlandestini.tumblr.com, vedrete che si tratta di opere bellissime, non certo da dilettanti.
 Tuttavia, il dubbio sorge potente: più che libri non si tratta forse di meravigliosi quaderni e taccuini fatti a mano?
 E' qua infatti che sta la genialità, secondo me, del progetto: nell'analizzare il libro in quanto oggetto. Cos'è che differenzia un taccuino da un libro? Il fatto che ci sia scritta una storia? Ultimamente Luca Fadda ha lanciato un esperimento, pubblicandosi da solo un libro digitale finito poi nella classifica di Amazon, composto solo da pagine bianche. Titolo "Il nulla".
 Prima di lui, gira da qualche anno un libretto "Tutto quello che gli uomini sanno delle donne" edito da Newton&Compton, composto anch'esso da sole  pagine bianche (o da riempire o da interpretare come un messaggio). In verità ricordo un esperimento simile,  americano o inglese che qualche anno fa stravendette (sempre su internet).
Se ho buona memoria il vecchio esperimento voleva comunicarci che siamo noi a dover immaginare la storia, anche nessuna storia, siamo coautori del libro. Fadda vuole invece fare una dimostrazione, si può dire politica. In un'epoca di self publishing, classifiche (virtuali, quelle di negozio ripeto non si possono falsare in questo modo) dagli strambi algoritmi, mancanza di una visione culturale d'insieme, lui propone pagine bianche. Il nulla che rappresenta la nostra cultura attuale. Questo è o non è un messaggio? E lui ha o non ha scelto di usare un libro come oggetto (anche digitale) per trasmetterlo?
Posso assicurare che un panino con la porchetta a 0 euro ha
più appeal di uno a 3, anche se veicola un messaggio politico.
 Si può dire quindi che un libro è tale quando trasmette un messaggio. Un quaderno vuoto è solo un quaderno. Un libro vuoto ha altri significati, ha UN significato da interpretare, non è solo un oggetto. 
 "Il nulla" di Luca Fadda e i libri autoprodotti da Libri finti clandestini veicolano entrambi un qualche messaggio, sebbene non credo che la burla editoriale di Fadda si possa in qualche modo equiparare al lavoro del collettivo. "Il nulla" infatti non è stato messo in vendita, ma era al modico costo di 0 euro.
Chiunque abbia partecipato attivamente ad una campagna elettorale, ritrovandosi magari a dare gratis decine di rosette ripiene di porchetta, saprà che GRATIS è la parole giusta per far fare brill brill agli italiani. In poche parole si avventano sul gratuito con una voracità estrema. Se burla doveva essere allora Fadda avrebbe dovuto far pagare almeno un minimo la sua non-storia. Allora sì, che la dimostrazione sarebbe stata completa.
 Nel caso del collettivo milanese infatti, gran parte del loro messaggio politico sta nel fatto che ti VENDONO i tuoi scarti.
 Attratta da questo particolare modo di concepire un oggetto che il progresso dà già per perduto, li ho contattati e ho ricevuto le seguenti risposte. Le domande sono al plurale, le risposte al singolare perché il misterioso collettivo ha preferito rimanere uno e trino anche nell'ombra. Come ha suggerito una mia amica, faremo come Wu Ming e per comodità lo chiameremo LibroClandestino1 (no scherzo).

Chi siete? Da chi è composto il vostro collettivo?

Libri Finti Clandestini è un collettivo beffardo* ( a cui si può aggiungere anche surreale, bizzarro, ironico, provocatorio…) formato da El Pacino (Milano – 1988), Aniv Delarev (Pueblo Nuevo Solistahuacán- 1980) e Yghor Kowalvsky ( Petropavlovsk-Kamchatsky – 1985).
 Il nostro è un esperimento nell’ambito del riciclo:
 Lo scopo è infatti quello di realizzare veri e propri libri (qualsiasi tipo, forma e dimensione) usando solamente carta trovata in giro, che la gente considera spazzatura: scarti di tipografie, prove di stampa e carte di avviamento, sacchetti della spesa, poster, buste, sacchetti del pane, carta da parati…e altri infiniti tipi e generi di carte!

Come è nato questo progetto?

Tutte le immagini dei libri sono tratte
 dal sito di Libri Finti Clandestini.
Il progetto nasce principalmente dalla mia passione per i libri (in generale per la grafica, ma soprattutto per il libro come oggetto) e l’attenzione per i consumi, per lo spreco. Il momento esatto non lo ricordo, ma il periodo in cui ho iniziato a fare libri con “carta” trovata in giro” risale al 2010, anno in cui mi trovavo a Rotterdam per l’Erasmus.
Nell’Accademia dove seguivo le lezioni c’erano immensi laboratori in cui venivano buttate via stupende prove di stampa (incisioni, serigrafie, a caratteri mobili…): ho iniziato a “fregarle” dai cestini rilegandole insieme, regalando i libri che facevo ai miei coinquilini.
Forse però, pensandoci bene, usavo gli scarti perché non volevo spender soldi per comprare nuova carta più che per risparmiarne

Perché proprio il libro?

Perché mi ha sempre affascinato! Sia come contenitore infinito di storie sia come oggetto in sé! Esso è un oggetto incredibile, da cui ( e grazie a cui!) proviene la storia.

Come e cosa considerate gli e-book e quali credete che possano essere i loro effetti sociali in un futuro prossimo venturo?

Gli e-book credo siano certamente una cosa comoda, utile e conveniente. Alcune persone mi hanno fatto notare il fatto che viaggiando puoi portarti via più libri in questa scatoletta, io però preferirei portarmene via due, tre su cui però poter scrivere con la matita .
Però il fatto di sfogliare le pagine di un libro è diverso!
Collegandomi alla domanda sugli “effetti futuri”: sono e saranno effetti –credo- positivi (magari anche per il fatto che si possa risparmiare carta – Non vado oltre perché non so quale sia meno “impattante” sull’ambiente tra libro di carta e e-book), ma il libro di carta non credo possa scomparire: più che altro lo spero, perché esso ha una storia!
Per esempio ricordo le volte in cui, a casa mia, tiravo fuori dalla libreria dei libri appartenuti a mia mamma da giovane, con le pagine gialle e alcuni biglietti del tram degli anni’70 tra le pagine! Purtroppo gli e-book non hanno questo pregio.

Come e dove recuperate i materiali per i vostri lavori e come è organizzato il vostro lavoro?

La carta usata per dare vita a un libro (sia il corpo libro sia il cartone per la copertina) proviene dalle più disparate parti: panetterie, laboratori di amici che stampano (tipografiche, di serigrafia…). La si trova gironzolando per le accademie e le università di arte, curiosando in fabbriche abbandonate e autofficine, in supermercati e case di conoscenti: qualsiasi posto è pieno di carta!
Anche le modalità di recupero sono svariate: chiedendo, prendendo senza chiedere o proprio trovando in giro. Gli unici materiali che vengono acquistati sono invece ago e filo.

Quali tra i vostri lavori ritenete i migliori?

In generale tutti i libri che riesco a fare mi danno una grande soddisfazione!
Magari quelli con una storia all'interno che ho impiegato molto più tempo a fare. Nel sito c’è la sezione LIBRI che si riferisce a quelli senza contenuto, e quella PROGETTI ossia con una storia scritta o dei disegni.

Come giudicate la situazione culturale italiana? Qual è il fine ultimo (anche politico) del vostro progetto?

Il libro notturno, secondo me un capolavoro.
Il fine del lavoro, pur non essendo esplicito, è provocatorio. Vuol far capire che, soprattutto ora, con la mentalità del “nuovo”, dell'usa e getta” che regna sovrana, con materiali che già ci sono si può creare qualcosa di bello (e anche di riutilizzabile), non dovendo per forza produrre e produrre in continuazione:Un elogio del riciclo e della decrescita insomma.
Inoltre può essere significativo del fatto che anche in un periodo come questo, vista la situazione economica- si possa inventare qualcosa di bello e utile (de gustibus).

Avete delle fonti (altri collettivi, personalità, anche storiche, eventi ecc.) d'ispirazione? E quali sono?

Si, certo! In generale però dipende dal momento, dal progetto/libro su cui mi sto concentrando; una fonte di ispirazione può essere una bella canzone, un incontro con una persona, una bella libreria o un disegno; a volte invece anche leggere la vita di un personaggio (da cui può venir fuori un libro!) o vedere i lavori di amici. Magari invece, una cosa astratta: per esempio il profumo del pane di notte o l'odore della pioggia sono incredibili.

Quali sono le vostre librerie preferite, se ne avete, e perchè?

Secondo me le librerie dipendono molto dai librai.
Per esempio una libreria con libri bellissimi e arredata bene può apparire brutta per il comportamento del proprietario! O, al contrario, una piccolissima libreria magari non tenuta bene ti può lasciar un ricordo stupendo per via delle persone disponibili e gentili che ci son all’interno.
Tra quelle belle che conosco, amo molto Spazio B**K a Milano!

Per concludere l'infinito post di oggi che vale anche per ieri, vi lascio con questo bellissimo video sullo splendido pop-up anarchico realizzato dal collettivo.



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