martedì 26 agosto 2014

Quando (tristi) film si avverano e ignoti lavoratori muoiono. "La vita è meravigliosa", Philip Marlowe e lo spirito di un'epoca. Recensione pensierosa de "Il lungo addio" di Chandler

 Ci sono un certo numero di film che per quanto superfamosi molti di noi non hanno mai visto. 
 Al mio carnet personale per dire, mancano colpevolmente "Flashdance" e "Via col vento" e posso annoverare "Dirty dancing" solo perché una mia amica alle superiori venne a trovarmi a casa, mentre ero convalescente per un'operazione cretina, e mi costrinse a vederlo. Era (è ancora e lotta insieme a noi in Africa in un ong) una ragazza casa, studio, chiesa e oratorio, ma qualcosa era fatalmente scoccato nel suo cervello quando canale 5 aveva mandato in onda i balletti porcarecci con Patrick Swayze al meglio della sua forma. Dal momento in cui lui aveva detto che "Baby non poteva essere messa in un angolo" lei aveva deciso che si sarebbe fatta chiamare solo Babi.
 Comunque, circa tre anni fa, mentre mi deprimevo al chiuso di una casa di una cittadina deprimente, alle soglie del natale, decisi, per tirarmi su il morale di vedere "La vita è meravigliosa" immaginando una storia di adorabili buoni sentimenti, alberi di natale e zuccherosità anni '50.
Erroneamente conosciuta come "La vita è una cosa meravigliosa"
 Rimasi sconcertata nell'apprendere che si trattava in realtà di una sorta di film premonitore sui mutui subprime e sulla finaccia che avremmo fatto.
 Nessuno me lo aveva detto ma la trama (tratta da un racconto di Philip Van Doren Stern), vedeva un onesto lavoratore che per amore della famiglia e del prossimo non si era mai allontanato da casa, rinunciando ad università e viaggi, diventare una sorta di ultimo baluardo davanti all'inarrestabile avanzata del potere finanziario. 
 Titolare di una piccola banca (o un piccolo istituto di credito non identificato) era l'unico a lottare contro l'avanzata dello strapotere del capitalista detentore di una gigabanca e della maggior parte delle case, mr Henry Potter (sì, mi fa troppo ridere, Henry Potter), il quale mirava a far indebitare il prossimo (tramite la stipulazione di mutui troppo elevati) per nutrire la sua banca di sugosi interessi. 
Nel futuro la città è interamente in mano a Henry Potter
che indebita i cittadini a suon di case troppo grosse e
divertimenti di pessimo gusto. Ci ricorda qualcosa?
Sostanzialmente nella storia, il buon lavoratore per un motivo stupido non ha più una somma fondamentale per la sua minibanca e decide di suicidarsi.
Arriva un buon angelo che per distoglierlo dall'intento gli mostra come diventerebbe il mondo se lui si uccidesse ovvero un posto di perdizione, divertimento, indebitamento ed egoismo. Sostanzialmente, e qui sta la cosa agghiacciante del film, sarebbe diventato il NOSTRO mondo attuale. Evidentemente se siamo giunti al funesto risultato paventato da questo strano film americano/socialista, nella realtà quel qualcuno che avrebbe potuto fermare l'avanzata del delirio invece di farsi salvare da un angelo, è saltato giù dal ponte ed è morto.
 Ma vabbeh, a cosa serve questo preambolo? A presentare lui, Philip Marlowe, la creatura investigativa di Raymond Chandler che non ha certo bisogno di essere consigliata da me, ma che voglio recensire comunque a nome del lavoratore ignoto che ha deciso di morire invece di salvarci.
 Non ho mai avuto molta passione per i film moderni che scimmiottano gli anni '50 (tipo "The black Dalia" o "L.A. Confidential") perché li ho sempre trovati mostruosamente finti. Puoi metterci tutti i vestiti fichi dell'epoca, puoi scenografare alla perfezione le strade, ma c'è qualcosa che non può proprio funzionare. L'animo. 
 Raymond Chandler ha creato un personaggio fantastico, Philip Marlowe ed è riuscito ad intrappolare tra le sue righe lo spirito del tempo. 
 Non sono solo le descrizioni, le donne fatali e amorali, gli uomini che si infilano in intrighi all'epoca sordidissimi, attualmente quasi risibili (basti pensare che "Il grande sonno" verte su un commercio di libri pornografici gestito da un omosessuale, libri (!), non la possibilità di ambientare una trama in un'epoca pre-ris pre-tecniche scientifiche pre-mezzi di comunicazione, la forza di Chandler, ciò che gli permette di essere ancora favoloso cinquant'anni dopo, è il talento che gli ha permesso di intrappolare lo spirito di quel lavoratore ignoto.
Lo so, è errato pensare al personaggio di un libro, come al
suo corrispondente nel film. Ma cavolo, Bogart era perfetto!
  Nei suoi libri marlowiani, pieni di fumo, uomini duri che in realtà sono mammole presto stritolate da uomini molto più duri di loro e da donne bellissime che sono tutto tranne che indifese, Chandler ferma un'epoca a suon di straordinaria ironia.
 Marlowe è un ex poliziotto, investigatore privato, con pochi soldi, ma guadagnati, un'etica molto forte che non baratta neanche a costo di finire in galera o prendere qualche ceffone. Indaga anche quando non gli tocca o non lo pagano perché sente che in fondo gli tocca e lo tocca. Non conosce profittazione e disdegna il profitto, ai numerosi che accumulano denaro in modo illecito (o in modo lecito ma comunque disprezzabile) e lo trattano con sufficienza perché lavora in una topaia e guadagna appena di che vivere, risponde integro che la vita è la sua e sa come badarci. Non è un santo, non aspira ad esserlo e prova una sorta di sufficienza nei confronti degli altri che si affannano  a mostrarsi grandi fidando solo sulle loro montagne di denari o di conoscenze. 
Mi ha colpito molto, tanto, tantissimo, "Il lungo addio" perché è uno strano libro. E' un giallo con delitto efferato, trama complicatissima e colpi di scena praticamente fino all'ultima pagina. La trama è intessuta talmente bene che Chandler avrebbe potuto continuare a rivoltarla a oltranza a suo piacimento. Ma la forza, enorme, di questo romanzo che si divora tutti quei nostri autori contemporanei in grado solo di infilare una scena splatter dietro l'altra, un'angoscia dietro l'altra, omicidi inquietanti descritti nei minimi scientifici particolari come se l'orrore fosse funzionale al mistero, sta nella forza del tema di fondo.
 Ne "Il lungo addio" si parla di un delitto e non è l'omicidio.
 Basti leggere l'inizio. Un bell'uomo dal volto segnato da cicatrici su una guancia, i capelli bianchi e i lineamenti giovani, non riesce ad entrare in un taxi perché troppo ubriaco. Una donna bellissima vicino a lui non è in grado e in fondo non vuole aiutarlo, così lui si abbandona al suo stato, come rassegnato.
 Marlowe passa di lì, li vede e appurato che la donna è bellissima e probabilmente ricca, fissa la sua attenzione su di lui. Chi è quell'uomo dal volto strano? Perché è lì? Perché si abbandona con tale tristezza? E non può fare a meno di aiutarlo. Non è carità, ma una fascinazione istantanea, una sorta di colpo di fulmine.
 Nella vita esistono un certo numero di persone di cui cogliamo sin dal primo istante l'importanza che avranno nella nostra vita (di molte altre ci sfugge per carità). Non si sa perché, ma basta vedere questo sconosciuto o sconosciuta per sapere che diventeremo amici, che potremmo amarli, che ci rovinerà l'esistenza, che cambierà vagamente in meglio o in peggio il corso della nostra vita. Non avviene sempre, ma alcune volte fatalmente sì.
 Marlowe lo avverte e immediatamente intesse un'amicizia fortissima, a cui neanche lui sa davvero dare una spiegazione. Perché rischiare il carcere, le botte, la licenza e la vita per un uomo? Eppure, instancabilmente, guidato solo dalla vaga percezione che DEBBA farlo, che se non lo facesse verrebbe meno ai suoi doveri morali, subisce tutto, accetta tutto, combatte senza sosta. E non posso raccontarvi il finale che sarebbe una metafora perfetta per spiegare il mio preambolo iniziale sul lavoratore ignoto che ha scelto di morire invece di salvarci.
 Marlowe è l'incarnazione letteraria di uno di quei lavoratori e la cosa fantastica è che, al contrario del protagonista de "La vita è meravigliosa" che praticamente è un santino, lui ha le sue debolezze e paturnie e soprattutto un modo di fare favoloso che basta, ho deciso di adottare anche io nella mia esistenza.
 Voglio essere capace anche io di accostarmi ad un inseguitore molesto e proferire le seguenti frasi:

 "Mi chiamo Marlowe, sono il tizio a cui state dietro da due giorni"
 "Non sto dietro a nessuno io"
"E' la vostra bagnarola che lo fa comunque. Può darsi che siate incapace di controllarla. Come preferite. Ora vado a far colazione nel caffè qui vicino: succo d'arancia, uova al prosciutto, pane tostato, miele, tre o quattro tazze di caffè e uno stuzzicadenti. Poi salirò in ufficio, al settimo piano dell'immobile qui di fronte. Se c'è qualcosa che vi turba oltre il limite della sopportazione, venite pure su a scambiare quattro chiacchiere, sarò lì a oliare il mio mitra."
 
Sbatteva ancora le ciglia quando mi allontanai. Venti minuti dopo cercavo di stabilire una corrente d'aria in grado di eliminare dal mio ufficio il tanfo del profumi "Soirée d'Amour in dotazione alla donna delle pulizie.

E' perfetto tutto. Dalla minaccia seria e ironica al contempo all'accostamento tra due azioni ugualmente quotidiane per un investigatore privato: trattare con un inseguitore e arieggiare l'ufficio dal tanfo della donna delle pulizie.
 Non so come dire, ma vorrei essere come Marlowe e vorrei che molti altri esseri umani che mi circondano lo fossero. Un po' meno giudicanti, un po' più ironici, meno pesanti, più responsabili (e per responsabile intendo solo dire "Sì oh, la colpa in questo caso è mia. Ho sbagliato"). Magari così si evita che qualche altro film su strani futuri apocalittici si avveri.
 In ogni caso, buon Marlowe!

3 commenti:

  1. Lo so, è errato pensare al personaggio di un libro, come al
    suo corrispondente nel film. Ma


    Se può consolarti, ho visto "Il grande sonno" prima di leggere i romanzi, e ho sempre cucito la faccia di Bogart su Marlowe in automatico. Rendeva benissimo! :D

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  2. uno degli articoli più belli che hai scritto, secondo me.

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  3. Bellissimo articolo. Il film natalizio lo conoscevo, ha pue ispirato Modugno (e i negramaro). Marlowe lo trovo molto triste,ma una tristezza bella, come l"autunno.

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