venerdì 19 settembre 2014

"Stoner" e la lezione di Ivan Il'ic: la minuzia che travolge una vita intera lasciando macerie dentro e fuori. Eppure chi cerca instancabilmente qualcosa si salva sempre, nonostante tutto.

 Ieri, per una serie di circostanze, ho passato una cosa come dodici ore di seguito a salire e scendere sui mezzi pubblici.
Fortunatamente per me, avevo appena avuto in prestito "Stoner" di John Williams,  un libro a cui giravo attorno da un bel po' senza mai decidermi davvero a prenderlo. Esso fa parte di quel certo numero di titoli che per un tot di anni rimangono potentemente di moda tornando antipaticamente nei discorsi accompagnati dalla fatidica domanda: "Ma come non lo hai letto?", pronunciata spesso e volentieri da gente che legge due libri in un anno ed entrambi non per scelta, ma per dovere sociale. Il risultato è che tu, lettore forte, ti ritrovi ad esser preso per un cretino, se non hai letto proprio lui, il libro alla moda (tra di essi anche la quadrilogia/tetralogia della Ferrante che mi riservo di non leggere a lungo).
 Ebbene "Stoner" è invece un libro che misteriosamente va letto, subito, ora. Va letto perché è un bellissimo libro, scritto in modo semplice e lineare, senza virtuosismi ora di moda, senza scuse, senza colpi di scena, senza variazioni particolari sul tema, senza fronzoli, persino senza trama volendo. E' la storia di un uomo, figlio di agricoltori, spedito all'università per studiare Agraria, che durante il secondo anno scopre sé stesso grazie ad un sonetto di Shakespeare durante un'irruenta lezione di letteratura inglese.
 In quel momento egli ha una di quelle poche fatali epifanie che segnano la vita di chiunque, che arrivano inaspettate e sconvolgono tutto, fatali come solo il destino sa essere.
 Diventa un buon insegnante universitario, scrive un libro accademico di nessun successo, sposa placidamente la donna più sbagliata per lui, si impelaga in beghe di baroni universitari, ha due amici che si porterà dietro per tutta la vita, un grande amore ecc ecc.
 William Stoner vive una vita normale. Ho letto, da più parti, pessimista, ma non mi è sembrato anzi, ho trovato che per reggere il peso di una vita tanto lineare e a tratti, in modo gratuito, assolutamente crudele, verso un uomo fondamentalmente tranquillo e unicamente interessato a conservare una parte di sé stesso, dovesse essere invece un libro ottimista. 
 Era una storia in effetti, con tutti i crismi per diventare un dramma, o meglio quel lungo lamento che molti di noi sentono nelle orecchie giorno dopo giorno, quando incontrano chiunque, dopo una certa età. Che riproduciamo anche noi, nel disperato tentativo di sfogarci, presi da un'angoscia verso quello che proprio non vuole andar bene nella nostra esistenza, per quanto ci sforziamo. Stoner non si lamenta mai, pensa che potrebbe far meglio e non lo fa, si carica di un peso interno che non lo schiaccia e non pretende una vita speciale che sa di non meritare né potrebbe sostenere.
 Forse perché sono cresciuta in un paese, dove le vite altrui sono sempre sotto l'occhio attento del prossimo, sin da bambina mi sono sempre chiesta guardando le persone che in qualche modo avevano "deluso le aspettative" o si fossero impelagate in qualcosa di errato,  che cosa fosse andato storto nella loro vita, o meglio, in che modo non avessero potuto prevederlo e fermarlo. 
Come avevano potuto permettere che qualcosa nella loro vita andasse tanto storto? Perché non avevano operato su quell'unico errore fatale? 
 Perché, (e da bambina tutta presa dall'assoluto dei bambini non potevo immaginarlo), ci sono sempre degli errori fatali nella vita di tutti quanti, cose che determinano un percorso e impediscono che la nostra esistenza, nonostante tutti i nostri sforzi vada esattamente come vogliamo.
 Stoner risponde alla domanda esattamente come un altro, famosissimo, piccolo racconto, "La morte di Ivan Il'ic" di Tolstoj.
 Anche il protagonista del racconto russo è un uomo  normalissimo che si è sempre comportato in modo abbastanza retto, avendo un oscuro successo personale che non conosce eccezionalità.
  Tuttavia ad un certo punto ha un incidente banale, cade dalla scala e inizia a sentire un piccolo dolore, quasi da niente, un dolore che poi cresce e misteriosamente si espande e corrode tutto. Nasce dal nulla, non se ne comprendono le cause se non che proviene da quel microscopico incidente domestico che avrebbe dovuto passare senza conseguenze, dimenticabilissimo.
 Io ho sempre trovato che questo racconto fosse una metafora potentissima in grado di spiegare le vite di molti, di tutti forse, anche la mia. 
 Un giorno, senza accorgercene quasi, abbiamo commesso un errore, uno piccolo piccolo, una cosa da niente che sembrava non dovesse avere conseguenze, quasi non ricordiamo neanche di averlo commesso, spesso non sapevamo neanche che fosse un errore, perché lo abbiamo compiuto con irrazionalità o aveva radici talmente lontane che non avremmo potuto riconoscerlo.
 Poi quell'errore si è ingigantito in un modo che era impossibile prevedere, in un crescendo talmente sconcertante da intaccare tutto, travolgere tutto, insinuarsi anche in posti, luoghi e azioni che non avrebbero avuto normalmente niente a che fare. E in un attimo noi siamo diventati Ivan Il'ic allettato o Stoner.
Foto by Mark Gallagher.
 Stoner è un ragazzo normale, una tabula rasa, è pieno di speranze e di promesse, ma sulla linea d'ombra raccontata da Conrad, quando il futuro ormai non riluce più di promesse, perché abbiamo superato la prima giovinezza, perché la prima guerra mondiale, nel suo caso, ha impresso un impellente urgenza di età adulta, e lì che commette il suo errore. Così comune che lo stesso Conrad lo cita nelle due o tre cose avventate che si è portati a fare sulle soglie dell'età adulta, cercando di dare una solidità di un qualche tipo alla propria vita: si sposa di corsa e con la donna sbagliata.
 Non ci sono figli in arrivo, non c'è nessuna necessità, è lui a pretendere, chiedere e avviare, nessuno lo forza e lo costringe, tanto meno lei. E' lui che scambia una bellissima ragazza dagli occhi quasi trasparenti e il vestito blu marino, per la donna della sua vita. Non distingue fascinazione da amore e ne pagherà le conseguenze per sempre.
 Per il resto del libro Stoner commette altri errori che però è difficile vedere sotto quest'ottica. Le  beghe universitarie e la fine del suo grande amore non sono davvero errori, ma scelte consapevoli. Nel primo caso non vuole permettere un'ingiustizia, nel secondo affronta con lucidità un annoso dilemma che travolge le coppie più innamorate: "Davvero l'amore basta? E se il sacrificio fatto in nome di quell'amore fosse troppo grande per permettergli di sopravvivere?".
 Se si cerca una risposta a tutti  gli errori e i dolori commessi da Stoner si può ritornare a quel piccolo incidente alla Ivan Il'ic, la sua insignificante caduta dalla scala: un attimo in cui i suoi occhi sono caduti su una ragazza troppo delicata per poter essere la buona moglie di qualcuno e la sposa.
 Ma sta proprio qui la meraviglia di questo libro: nonostante tutto Stoner non cede mai all'amarezza, né allo sconforto: Stoner in un qualche modo ha vinto, o meglio si è salvato
 E' rimasto quel che il suo amico Dave Masters, in uno di quegli attacchi di assoluta lucidità che solo la giovinezza può concedere, aveva descritto:
 "Chi sei tu veramente? Un umile figlio della terra, come ti ripeti davanti allo specchio? Oh no, anche tu sei uno dei malati: sei il sognatore, il folle in un mondo ancora più folle di lui, il nostro Don Chisciotte del Midwest, che vaga sotto il cielo azzurro senza Sancho Panza. Sei abbastanza intelligente, di certo più del nostro comune amico. Ma in te c'è il segno dell'antica malattia.  
Tu credi che ci sia qualcosa qui che va trovato. Nel mondo reale scopriresti subito la verità. Anche tu sei votato al fallimento. Ma anziché combattere il mondo, ti lasceresti masticare e sputare via, per ritrovarti in terra a chiederti cos'è andato storto. Perché ti aspetti sempre che il mondo sia qualcosa che non è, qualcosa che non vuole essere. Sei il maggiolino del cotone tu. Il verme nel gambo del fagiolo. La tignola nel grano. Non riusciresti ad affrontarli, a combatterli: perché sei troppo debole, e troppo forte insieme. E non hai un posto al mondo dove andare"
 Ed è forse questo il motivo per cui un libro scritto benissimo, ma dalla trama apparentemente insignificante ha tanta presa su un vasto pubblico, che forse lo legge per moda, ma ne rimane incomprensibilmente attratto. Stoner racconta la storia di una vita che è anche la nostra, non eccezionale, un'insieme di possibilità che avrebbero potuto essere, ma non abbiamo voluto o potuto avverare, perché governare una vita, salvarsi dal mare della sua enormità, è un'impresa titanica, sempre degna di nota. 
 Anche quando sembra che di eccezionale non ci sia nulla. penso che chi riesca ad arrivare fino in fondo chiudendo gli occhi, salvo, come Stoner, abbia scritto un romanzo ottimista e non abbia nulla a che pentirsi,  nonostante le macerie, dentro e fuori.

4 commenti:

  1. Io non ho ancora letto questo libro...devo ammettere che spesso anche a me succede di sentirmi dire:"ma come tu leggi tanto,ma questo non lo hai letto?" Beh sai che c'e'?io continuo a leggere quello che mi va quando mi va anche se era primo in classifica nel '98.Comunque le tue riflessioni mi hanno fatto pensare...perche'commettiamo l'unico stupido errore che ci cambia la vita?perche'non siamo in grado di capire che e'un errore,ne'che sara' cosi'determinante...lo.capiamo,ma solo dopo,purtroppo!

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  2. Stoner è uno dei classici Americani che adoro maggiormente. Quando lessi questo libro negli anni '90 mi riconobbi in un modo che non avrei mai immaginato; ne rimasi estasiato.

    Tra l'altro, lo stile di J. Williams ricorda molto quello di Jerome K. Jerome, nello specifico l'opera Three Men in a Boat (ovviamente i due romanzi trattano tematiche diverse).

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