domenica 30 novembre 2014

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Origami".

Ed ecco a voi la seconda vignetta del fine settimana.
 In essa appare un'esemplare di genitore che invece di ammettere i propri limiti, riempi il proprio pargolo di nozioni sbagliate.
 Per carità, anche i miei genitori erano contrari a mostrare le proprie lacune a me e alle mie sorelle, sopperendo eventualmente con fantasiose spiegazioni, tuttavia essi invece di dire una cosa sbagliata, preferivano inventare direttamente robe fantastiche prive di qualsiasi attinenza col reale (che causavano ilarità a catena quando le spacciavo per vere a scuola).
 Una madre sciura invece può regalare perle di ignoranza uniche, come nella vignetta di oggi.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Origami".


sabato 29 novembre 2014

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ricerche difficili".

Nella vignetta della giornata si sottolinea una mania che molti clienti hanno: quella di parlare e commentare come se il libraio o la libraia non fossero presenti o al limite incarnassero un ectoplasma che abita la libreria, in una sorta di comunione fisica con gli scaffali.
 Dai loro commenti si evince un mondo che meriterebbe talvolta risposte a tono, così, tanto per ricordare che anche la persona di fronte possiede dei sentimenti e un'anima.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ricerche difficili".



giovedì 27 novembre 2014

Autori che hanno avuto successo solo post mortem: è possibile scrivere tutta la vita senza avere (quasi mai) un pubblico? Suicidi letterari, reclusioni, mitizzazioni e prigioni nelle vite di quattro autori famosi a posteriori.

 Uno dei grandi successi dell'anno è stato "La verità sul caso Harry Quebert" di Joel Dicker, un po' perché la trama non mi attirava, un po' perché mi riesce difficile consentire a libri moderni di tal stazza di occupare il mio tempo di lettrice (diffido sempre delle opere contemporanee sul migliaio di pagine, preferisco subiscano prima il tribunale del tempo), non l'ho letto. 
Tuttavia ho apprezzato il giovane autore che ha candidamente confessato di essersi dato un'ultima chance: aveva provato a proporre i suoi precedenti romanzi a destra e a manca e questa era la sua ultima speranza, dopo avrebbe chiuso bottega.
 Lo so che c'è tutta una specie di mistica romantica dietro la scrittura, che non se ne può fare a meno, che un vero scrittore scrive sempre e comunque, dovunque. In tanti che si credono anche buoni scrittori o scrittori, pensano che basti essere pervasi dal dio, come scriveva il buon Democrito, e zam praticamente si va di scrittura automatica.
 Io ci credo poco. Credo sia vero che l'ispirazione non vada a comando, ma non credo ai libri che "si scrivono da soli", alle persone (fatti i salvi i geni assoluti) che per buttare giù un libro ci mettono due mesi, nessun ripensamento, nessuna revisione, nessun tormento.
 Leggo perennemente nelle interviste che "le storie erano dentro di loro e chiedevano solo di uscire", ma non riesco a crederci. Sarà perché anche io scrivo, ma sono più della scuola masochista alla Capote: "Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta; e questa frusta serve unicamente per l'autoflagellazione".
 Qualsiasi cosa non può essere abbastanza buona e non sarà mai abbastanza. Per quello mi faceva simpatia l'autore del caso Harry Quebert, perché si era dato un tempo (poi per carità, penso che avrebbe continuato a scrivere, ma non ad accanirsi).
 Il mantra che prima o poi sei hai talento qualcuno ti scoverà è smentito da numerosi autori e autrici che nella storia sono morti bellamente sconosciuti, per poi diventare famosi solo anni dopo la morte. Per carità una cosa bellissima, però, io farei un pensiero supplementare a queste persone che, armate solo della frusta, senza mai ricevere la carota del successo, hanno perseverato per tutta la vita nella scrittura, con coraggio, frustrazione e talvolta disperazione.
 Vogliamo vedere alcuni casi? E vediamoli!

GUIDO MORSELLI: 
Peraltro io vorrei leggere il suo "Roma
senza Papa"
Se ci fosse un santo patrono degli scrittori morti senza aver avuto successo in vita, Morselli dovrebbe averne la carica sopra ogni ombra di dubbio. 
 Nato in una famiglia benestante nel 1912, inseguì per tutta la vita il desiderio di diventare uno scrittore, scrisse numerosi saggi e romanzi principalmente di fantascienza, scrisse industriosamente per anni. 
 Convinto della poca vocazione, dopo la guerra, visse di una piccola rendita familiare che gli consentì di dedicarsi completamente alla scrittura, tuttavia nessun editore accettò mai di pubblicare i suoi numerosi scritti.
  Nonostante le consegne brevi manu, le innumerevoli visite alle case editrici, il lavoro incessante, non ci fu mai per lui soddisfazione, caso esemplare che rimane inspiegabile a decenni di distanza. Fino alla sua morte produsse articoli, reportage e romanzi con cui cercava di inseguire le mode editoriali, riuscì quasi a pubblicare con Rizzoli, ma all'ultimo saltò tutto. Calvino apprezzò il suo stile, ma non si impegnò nell'aiutarlo.
  Il suo ultimo romanzo, "Dissipatio H. G." uscì postumo, poichè nel 1972 dopo decenni di insuccessi Morselli, stremato dalle delusioni si suicidò. Nel suo diario già nel 1959, scriveva:
Tutto è inutile. Ho lavorato senza mai un risultato; ho oziato, la mia vita si è svolta nella identica maniera. Ho pregato, non ho ottenuto nulla; ho bestemmiato, non ho ottenuto nulla. Sono stato egoista sino a dimenticarmi dell’esistenza degli altri; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho amato, sino a dimenticarmi di me stesso; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho fatto qualche poco di bene, non sono stato compensato; ho fatto del male, non sono stato punito.  Tutto è ugualmente inutile” 

EMILY DICKINSON:
 Al contrario di Morselli la Dickinson non cercò mai il successo in vita.
 Fu il suo un caso di autore che non può fare a meno di scrivere, ma senza fare della pubblicazione delle sue opere e della necessità di avere un pubblico la sua ragione di vita.
 E' un caso a mio parere particolarissimo, giudtificato esclusivamente dal genio, poiché immaginare di vivere chiusi per decenni in una casa, circondata solo dalla propria immaginazione, la propria sorella e infinite poesie scritte per un pubblico immaginario, richiede una costanza e una passione assolutamente straordinarie.
  Al momento della morte infatti delle moltissime poesie scritte dalla Dickinson, ne erano state pubblicate neanche una decina. Fu sua sorella che invece di bruciarle, come le era stato chiesto, decise di pubblicarle.
 In lei, la figura dell'autore immerso completamente nella propria arte implode
Erano, come si suol dire, altri tempi. Passioni così estreme nel nostro razionale mondo contemporaneo, sono irripetibili.

GOLIARDA SAPIENZA: 
 Scrittrice (e attrice) siciliana dalla vita tormentata, Goliarda Sapienza è un altro famosissimo caso di autore italiano rivalutato solo post mortem. 
 Durante la sua lunga vita, un'educazione peculiare ricevuta in gioventù da genitori socialisti e rivoluzionari, le donò un punto di vista eccentrico nei confronti del suo tempo che ella tentò di esprimere in vari modi. Iniziò attrice, tentò di finire scrittrice. Sebbene al contrario di Morselli, riuscisse ad avere degli sponsor editoriali, non furono mai abbastanza potenti da consentirle una grande pubblicazione che arrivò solo a fine anni '90, quando la casa editrice viterbese Stampa Alternativa pubblicò finalmente "L'arte della gioia". 
 Il libro, ripreso poi da Einaudi, divenne un grandissimo successo, tanto da scatenare la riedizione o primissima edizione di tutte le sue opere. Riconoscimenti che questa autrice, che durante la stesura del suo capolavoro si era ridotta in tale povertà da finire per rubare a casa delle amiche (e per questo finì in carcere), non vide mai. 
Si godette indubbiamente la vita più del povero Morselli, però che cavolo.

ROBERTO BOLANO:
 Bolano fa parte non tanto degli autori che hanno avuto successo da morti, quanto di quegli scrittori che sono diventati del MITI dopo la morte.
 Accade per una serie di congiunzioni, non ultima, nel mondo moderno, una grande capacità di fare del buon marketing su una figura che si presta al marketing. Non si vuol dire che Bolano, già famoso in vita (ma almeno in Italia non così famoso), non meriti la sua grandissima celebrazione postuma, tuttavia la capacità avuta dai suoi eredi di affidare la gestione del patrimonio ad un grandissimo agente letterario, ha concorso indubbiamente a rendere questo scrittore morto ad appena 50 anni, una figura mitica. 
 La sua biografia, in alcuni punti nebbiosa e particolare, si presta. Narrava infatti di essere giunto in Cile poco prima del colpo di stato e di essere fuggito dalla prigionia grazie ad alcuni suoi amici diventati guardie del regime. Tuttavia non c'erano prove (o quasi) della sua effettiva presenza nello stato, come del suo rocambolesco viaggio di andate e ritorno. Diventato famoso non in gioventù, ma dopo aver compiuto qualsiasi umile lavoro per poter riuscire un giorno a vivere di scrittura, morì quando le luci della celebrità erano finalmente su di lui: a 50 anni esatti in attesa di un trapianto di fegato mentre lavorava indefessamente al suo ultimo libro.
 La sua ultima opera "2666" è diventata uno di quei classici in cui è impossibile scindere l'autore dall'opera. L'idea che fosse il suo ultimo respiro letterario le conferisce quell'aura mitica che solo gli anni potranno confermare.

 Per concludere, ci tengo a citare Lovecraft, che, in vita non vide mai riconosciuto effettivamente il proprio talento, e infine decise che fosse meglio smetterla di imbrattare carte. Non tutti i geni hanno la forza di non sentire il bisogno di un pubblico, certe volte serve qualcuno che ti dica quanto sei bravo.

E voi conoscete qualche altro povero autore che in vita se l'è vista davvero brutta e solo in mortem è stato ricoperto di allori? Scrivete e scrivete!

mercoledì 26 novembre 2014

Libri che non riesco a leggere. Non per forza brutti, non per forza scritti male, ma per me assolutamente fastidiosi. Tra violenze, ricchi e adolescenti, possono esistere dei romanzi che stanno antipatici a pelle?

 Era da un bel po' di tempo che volevo leggere "Cioccolata a colazione", un libro di Pamela Moore che alla sua uscita, nei lontani anni '50, fece sfracelli e portò la giovanissima autrice ad un successo incredibile.
 Ero incuriosita dalla trama che sembrava a metà tra "Il giovane Holden" e quella tradizione cinematografica che indaga sull'ambiguo e inquieto animo adolescenziale ambientando le proprie storie in luoghi circoscritti, abitati da un solo sesso e in genere isolati. Per capirci, i collegi "Attimo fuggente" o "Monnalisa smile" style.
 Ora che l'ho quasi finito posso dire che "Cioccolata a colazione" è scritto meglio di quanto mi aspettassi (ci sono delle immagini incredibili per una mano adolescenziale), ma ha una sostanza assai minore di quel che sperassi.
 Fa parte infatti di una categoria di evergreen editoriali assai diversa: le grandi tragedie degli adolescenti very rich e very spostati e very dannati. E' un genere che tendenzialmente appaga quel voyeurismo pseudomoralizzante che una certa cricca di lettori possiede. Intendiamoci, esistono dei libri sull'adolescenza perduta molto belli, come "I turbamenti del giovane Torless" o ancor meglio "I ribelli" di Sandor Marai.
  Tuttavia, in entrambi questi casi rientriamo appieno del romanzo di formazione (o nel secondo caso di una dolorosa trasformazione), mentre "Cioccolata a colazione" seppur, ripeto, scritto davvero bene, mi sembra un po' la versione maggiormente letteraria di robe che tentano di riprodurre serial alla "Gossip girl" (che peraltro mi pare abbia ampiamente saccheggiato quest'opera della Moore, alcuni personaggi sono praticamente identici),
Mi dà anche fastidio vedere serie del genere. Conosco "Gossip
girl" per via di mia sorella piccola. Gli autori dovrebbero
 devolvere una somma consistente agli eredi della Moore
 In qualsiasi caso questa mia certa avversione per un libro comunque buono, mi ha fatto pensare a quel vecchio problema che alcuni lettori, tra cui io, hanno: il non riuscire a leggere libri che riguardano determinate tematiche.
 Non è una questione di gusti. Non parlo del non riuscire a leggere il genere fantasy o l'horror, ma di non riuscire ad apprezzare un'opera letteraria per una serie di preconcetti o limiti propri di ogni lettore in quanto essere umano con una visione del mondo (e sue paure).
  E' una cosa che a me succede sempre e lascia perplessa, penso sia un limite, ma non riesco ad uscirne, malgrado gli sforzi.
 Vi state chiedendo cosa stia blaterando? Vi faccio un breve elenco dei libri che non riesco a leggere e non se ne parla più!

 I DRAMMI  E I SENTIMENTI DEI RICCHI:
Sottolineo che non ho letto questo
libro, ma vista la trama a base di
ricchezza e ambizione, non credo
che lo farò mai.
Non parlo dei classici dei tempi che furono. Non classifico "Guerra e pace" come un dramma dei ricchi, perché lì entriamo nel campo della fascinazione storica, della fiamma indistruttibile dei sentimenti che covano sotto la grandezza degli eventi in campo.
  Io parlo dei drammi contemporanei in cui avvocati arrivati e svogliati, mogli insoddisfatte, ragazzini viziati con ogni mezzo, sciure che non hanno mai lavorato un giorno in vita loro (o hanno sempre fatto lavori che gli esseri umani normali non fanno come "il disegnatore di gioielli", se ci fate caso mai che il figlio di un ricco abbia l'aspirazione a fare non dico il metalmeccanico, ma il veterinario), si rotolano nel vuoto, nella sensazione di nulla, in quegli sfinenti rapporti sociali che durano decinaia di pagine.
 E se lei chiama e se lui risponde e se l'altra dà una festa e se l'altra ancora non mi invita. Convenzioni sociali che si arrotolano su loro stesse senza alcun motivo, nessuna profondità se non dimostrare quanto è incredibilmente triste vivere in codesto mondo crudele che ti fa nascere ricco e senza amore.
 Il mio pensiero fisso è sempre: tesoro bello, poteva andarti peggio, pensa se nascevi povero e senza amore. Oppure: perché sto leggendo di come questo oligarca schiaccia senza pietà una famiglia con dieci figli senza nulla?
 Variante "i drammi degli adolescenti ricchi": Questi poveri ragazzini costretti a vivere nel lusso, sempre o poco amati dai genitori o troppo amati (tendenzialmente troppo viziati), descrizioni interminabili di feste a base di alcool, atteggiamenti da uomini e donne consumati, vuoto esistenziale accompagnato dal caviale, mai una domanda sul mondo, se non il loro interiore, che insomma, il resto della popolazione mondiale, che schifo no?


I LIBRI A TESI:
Questo libro in particolare, non solo è scritto
male, non solo è palloso, non solo si fonda su
un'ucronia insensata, ma è pure maschilista,
fingendo di essere femminista. E' il classico
libro "presa per i fondelli"
 I libri a tesi sono quelli che vogliono dimostrarti in ogni modo una loro visione del mondo.
 Tendenzialmente soffrono di questo difetto tutti quei libri scritti da autori che "vorrebbero ma non possono", ossia che hanno idee enormi rispetto alle loro capacità.
  Generalmente perciò i libri a tesi soffrono di un doppio problema: sono schematici in modo imbarazzante e sono pure scritti male.  Pur tuttavia non è sempre così. Simone de Beauvoir ad esempio, ha scritto alcuni libri a tesi che infatti non sono certo i suoi capolavori, ma se ne apprezza comunque la profondità rispetto ai temi titanici affrontati, parlo de "Il sangue degli altri" e de "Le belle immagini" (peraltro il primo, nonostante i personaggi praticamente bidimensionali, mi è rimasto particolarmente impresso). Molti autori peccano di questa hubrys della dimostrazione, lanciandosi nelle ucronie: pensano cioè che creando un mondo o un futuro da capo, non incappino nella trappola dello spiegone.
 Il risultato è che non solo ci incappano, annoiandomi alla muerte, ma pure nel caso in cui siano scritti bene non smettono di tarlarmi il cervello col mio noioso "Non mi prendere per i fondelli, questa tua convinzione è una caxxata".
 Sostanzialmente io sono un tipo hegeliano, quindi se mi dici tesi, io devo per forza fare l'antitesi, e vi giuro, spero sempre nella sintesi, anche se in pochi, durante il mio fervore antitetico, mi credono.
 Perciò mentre macino antitesi il piacere del libro va a farsi benedire e adieu.

LA VIOLENZA GRATUITA:

 Io detesto vedere film violenti e leggere libri violenti. 
 Per capirci, "Kill Bill" l'ho visto e mi è pure piaciuto, perché la violenza lì è talmente finta e autoironica che ci sta, ma quando entriamo nel campo dei film coi serial killer che devastano la gente non solo non li vedo, ma mi sfugge anche perché dovrei vederli.

 Idem i libri. E' ben più difficile ripetere la stessa violenza visiva anche sui libri, ma non abbiate tema, c'è chi ce la fa.
 Ricordo con orrore le prime cento pagine di "Oro rapace" di Yu Miri, in cui, tra le altre cose, c'è la descrizione di uno stupro di gruppo ai danni di una ragazzina da parte di un gruppo di svogliati coetanei. Ancora mi si torce lo stomaco al ricordo.
 Come non sono mai riuscita a togliermi dalla testa un racconto di Daniele Luttazzi (che per il resto quando ancora non era impazzito mi piaceva molto, a 13 anni usai una paghetta dei nonni per comprarmi un suo libro) in un'antologia italiana pulp molto famosa, "Gioventù cannibale".
  Per quella storia ho avuto incubi seri e per quanto apprezzi la letteratura che ti scava nell'animo, gradirei anche dormire senza essere assillata da incubi macroscopici.
 Voi direte, andavi a leggere un gruppo di racconti pulp, che t'aspettavi? Eh, che ne so. Ero ingenua. Il pulp comunque da quel momento è stato completamente bandito dalla mia biblioteca, mi perderò qualcosa, ma almeno dormo.
 Altra violenza gratuita che non sopporto è quella dei libri sui serial killer. Gli autori, forse in una sorta di ansia di emulazione cinematografica, si perdono in questi dettagli sulle torture elaboratissime che questi assassini psicopatici hanno. Ebbene, io non ho ancora capito perché dovrei passare un pomeriggio a leggere di strane sevizie ai danni di un povero essere umano indifeso.

 E voi quali libri non riuscite a leggere? Non lasciatemi sola nei miei limiti mentali!

martedì 25 novembre 2014

Il luuuuungo resoconto fumettoso del BilBolBul: I dolori della giovane libraia diventa "I dolori del giovane mayale al BilBolBUl", una succulenta storia di suyni e gnocchi fritti con Julie Maroh).

Ed ecco lo sfinente fumetto di oggi. Trattasi del resoconto del festival del fumetto di Bologna svoltosi lo scorso fine settimana: il BilBolBul.
 Ero partita carica di speranze, di buona volontà e di sincero desiderio di vedere tante cose, è finita che mi sono mayalizzata.
 Credo sia materialmente impossibile partecipare (per me) seriamente a qualsiasi cosa si svolga a Bologna.
 Volete sapere cosa mi è successo?
 I dolori della giovane libraia diventa: "I dolori del giovane mayale al BilBolBul", solo per i vostri occhi!
Ps. La Pluricitata Julie Maroh è l'autrice della graphic novel "Il blu è un colore caldo" da cui è stato tratto il film "La vita di Adele"!






domenica 23 novembre 2014

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "La massima del rappresentante editoriale"! (Con una spolverata di cinghiale e Demostene).

Nel vasto mondo editoriale c'è una categoria che ancora coraggiosamente resiste e vaga per le regioni con qualsiasi tempo e con qualsiasi mezzo tutte le librerie: trattasi del rappresentante editoriale.

Librai fuggitivi tra gli scaffali
Costui o costei prendono infiniti appuntamenti con infiniti librai che inseguono come un cacciatore insegue un cinghiale che corre alla disperata nel bosco, nel disperato tentativo di acchiapparlo e al contempo di non esserne azzannato.
 Arrivano con le loro valigette ricolme di cataloghi di libri ancora non usciti (e che per ovvie ragioni di tempo e quantità non posso neanche aver letto) e si lanciano in perorazioni potenti di libri talvolta discutibili e talvolta belli, ma invendibili (gran parte della saggistica è una figata, ma ha un pubblico diciamo ristretto per forza di cose).
 Armati di un'eloquenza che farebbe invidia a Demostene, cercano di convincere in ogni modo un libraio nel frattempo impegnato in altre tremila faccende (specie se di catena) a prenotare quantità variabili di futuri tomi.
 E' quel sacro momento in cui il libraio deve dispiegare tutte le sue doti di preveggenza, cercando di intravedere il futuro mentre il rappresentante tentatore like serpente dell'Eden, cerca di intortarlo in ogni modo.
 Quella di cui sotto è una massima recitata dall'ultimo rappresentante editoriale che ha incrociato il mio cammino
 Faccio notare che le sue fattezze serpentesche e rettiliane non sono dovute a komplotti o a spregio, ma a semplice assimilazione alla serpe tentatrice e suadente.
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "La massima del rappresentante editoriale"!


venerdì 21 novembre 2014

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Il quasi complimento".

Poiché questa settimana ho davvero avuto i minuti contati, oggi invece di un post pubblico una vignetta (ma ho usato il mio tempo in modo produttivo per un fumetto su Non ci sono solo le etero che avevo abbandonato allo stato brado).
 Il signore di oggi è riuscito in quel particolare colpo di teatro che è: fare una bella figura, fino alle ultime tre parole. In genere gli autori ci mettono giorni a farsi venire in mente una buona idea, i clienti hanno la dote di produrre tali perle in modo spontaneo e naturale.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Il quasi complimento".


Postilla. Prima che qualcuno infierisca sui nordici, ci tengo a precisare che di essi purtroppo viene dipinta una pessima immagine dovuta a quel gruppo di persone fobiche di tutto dai gay alla gente del sud passando ovviamente per i migranti (queste simpatiche creature si possono incarnare o nei seguaci di CL o della Lega), ma insomma tutte le regioni hanno i loro problemi.
 Per la maggiorissimissima parte i nordici, al solo sentire l'accento romano, sgranano gli occhi felici e dicono due cose "Com'è simpatico il tuo accento!" e "Cesaroni!"

giovedì 20 novembre 2014

Un piccole recensioni tra amici in onore di quella gloriosa terra piena di tortellini, mayali e comunisti che è l'Emilia Romagna: investigatrici, Rimini e Tondelli per un Eden immaginario.

Ed ecco che come penultimo post della settimana vi ripropongo (si vede tutta la buona volontà dell'inizio), piccole recensioni tra amici #2.
Il titolo di questo libro, pur escludendo la parola
maiale, sintetizza bene il mio pensiero mitico
su tale amabile regione.
 In verità volevo scrivere un altro post, ben più laborioso, ma questi giorni ho tempo quanto una donna con tre figli gemelli lattanti, perciò ecco che recensirò piccolezze o meglio, in questo caso grandezze, ossia due libri che hanno in comune molte cose: sono scritti entrambi da donne, molto toste, molto brave ed entrambe provenienti da quella meravigliosa regione che è l'Emilia Romagna.
  Da bambina, questa regione troppo lontana da me che ho visitato troppe poche volte, aveva nel mio immaginario le fattezze di una regione incantata.
  Innanzitutto si favoleggiava che tutti fossero di sinistra (un luogo dove la sinistra vince sempre era una specie di Eden della giovane politicamente impegnata), era sempre prima, assieme alla Toscana (altra regione del mio cuore), in tutto ciò che riguardava la qualità della vita e l'impegno nel sociale, vi aveva sede un'università che avrei frequentato molto volentieri (l'Alma Mater of course) e si mangiava superbene.
 La patria del tortello, della salsiccia, delle feste dell'Unità, dei salumi e del maiale, era davvero una sorta di valle incantata. Il fatto che io non sia riuscita a mettere piede a bologna che a 25 anni ha poi contribuito a cristallizzare questo immaginario.
 Mi è rimasta perciò questa infantile/giovanile passione per questa terra, che viene sostenuta peraltro dalle performance dei suoi scrittori che riescono ad ottenere spesso una variazione sul tema preferito da troppi scrittori italiani: la provincia triste e abbandonata, ove si commettono ogni tipo di nefandezze (ci avevo scritto anche un post un annetto fa).
 Gli scrittori, perlomeno quelli che ho letto io, provano un qualche tipo di amore per la loro terra e non si limitano ad additarla come luogo da cui scappare in preda alle febbri, ma ne offrono un panorama alla odi et amo.
 Le due recensioni di cui sotto rendono bene l'idea.


 "QUO VADIS BABY?" di GRAZIA VARESANI:
 Nell'ormai lontano 2004 (oddio sono passati 10 anni di mio), andai a vedere l'omonimo film in un piccolissimo cinema di provincia.
  Le circostanze vollero che vedere un giallo ambientato in inverno, immersa in un'insopportabile calura estiva, rendesse l'ambiguità della storia straordinariamente efficace, e rimane tutt'ora uno dei film che mi sono in assoluto più goduta al cinema. 
Ricordo chiaramente che era estate, io ero vestita troppo pesante e la sala non era adeguatamente arieggiata. Risultato: morii di caldo, ma mi godetti in modo straordinario il film.
 Per motivi inspiegabili ho aspettato dieci anni per leggere il libro da cui è tratto, il primo in cui appare l'investigatrice privata Giorgia Cantini. Io non ho particolare simpatia per queste donne non toste, di più, che non devono chiedere mai, ruvide come la carta vetrata e sempre in cerca di una specie di amore che alla fine però in fondo non vogliono, tuttavia il personaggio disegnato dalla Varesani ha una sua forza che emerge sopra gli stereotipi che rischiano di soffocarla. In particolare "Quo vadis Baby?", rispetto agli altri della serie (che comunque si fanno leggere molto molto molto volentieri), riesce ad affondare il coltello in quei rapporti familiari propri delle famiglie che si autodistruggono per eccesso di ostentata e malata normalità. 
 Il padre carabiniere in carriera, uomo tutto d'un pezzo, severissimo e impenetrabile, sposa, manco a dirlo, la persona sbagliata. Per quel moto dell'animo che spesso hanno le persone con una natura ben definita, sceglie per la vita una compagna completamente opposta e ci sono incontri che come reazioni chimiche possono ingenerare solo enormi catastrofi. Così la moglie si suicida, la seconda figlia, Giorgia, rileva l'attività di famiglia, ma gestisce la sua vita personale in modo completamente anarchico e la prima, Ada, vezzeggiatissima principessa, diventa una ragazza disposta a tutto per ottenere quello che vuole.
  Il personaggio di Ada, la cui morte misteriosa morte ha definitivamente frantumato quel che rimaneva di tutti gli altri, è molto interessante. Non è una vittima, non è positiva, non è completamente negativa, è solo qualcuno che tecnicamente pecca di hubrys. Ce ne sono tanti, persone che commettono l'enorme errore di credersi più talentuosi, più forti, più furbi, di ciò che in realtà non sono, e corrono disperatamente verso la catastrofe. La cornice bolognese tetra e funestata da personaggi pietosi (nel senso che ispirano pietà), rimane solo a sfondo di quella che è una tragedia greca su tutta la linea. Ripeto, il migliore della serie, visto che negli altri la cornice, pur apprezzabilissima e originale, diventa invece la parte forte della trama.

"HAI MAI NOTATO LA FORMA DELLE MELE?" di MABEL MORRI:
 Mabel Morri è un'autrice che per sentito dire conosco da un bel po' di tempo. 
 Sapevo di questa fumettista preinternettiana, che non potendo usufruire dei blog ancora a divenire, stampava i suoi lavori su fanzine autoprodotte con la casa editrice/collettivo Studio Monkey, per poi distribuirle brevi manu in giro. 
 "Hai mai notato la forma delle mele?", recentemente ripubblicato dalla RenBooks in un bel formato dal prezzo, secondo me, eccezionale (12,90 è un affare), raccoglie i 4 gloriosi numeri che ne uscirono. 
 Il libro è composto da tante storie, quasi tutte brevissime con racconti nell'intermezzo scritti ovviamente con la cara vecchia macchina da scrivere, che non hanno in comune nessun filo logico a livello di trama. Ciò che le unisce è la comune, davvero ben resa, descrizione di un mondo.
 L'autrice, classe 1975, è riminese e si vede. Nelle sue storie viene fuori quella gloriosa provincia che vive la vita in due tempi: quello invernale, lungo, abbastanza lineare, senza particolari momenti di eccitazione, e quella estiva, in cui, in nome del turismo, si riempie e nasce a nuova vita.
  Ho sempre pensato che questi luoghi donino una particolare prospettiva a chi ci vive, abituato a vedere la propria vita correre su due binari temporali completamente diversi. Mabel Morri ha, secondo me, quel tocco tondelliano che si vede benissimo in quello splendido libro che è "Rimini". Persone e personaggi autoctoni e provenienti da luoghi lontani per pochi brevi giorni, si incontrano e danno vita a infinite possibilità, rendono possibili un enorme ventaglio di storie.
 I disegni così pieni, poi, particolareggiati, appuntiti, i dialoghi colloquiali, senza ricercatezze letterarie, rendono poi bene quel linguaggio tondelliano diretto ed estremamente visivo. Avevo letto da qualche parte, che la scrittura di Tondelli restituiva le luci velocissime e livide di quegli anni '80 pieni di luci al neon e del buio dei locali, ebbene Mabel Morri riesce a disegnare quelle luci. 
E perciò davvero ve la straconsiglio.

 Bene, detto ciò ne approfitto per salutare tutti gli emiliani e i romagnoli (non ricordo mai chi è chi) e se vorrete consigliare qualche libro su codesti gloriosi luoghi o di qualche loro glorioso autore, commentate, consigliate, commentate!!

Noto solo ora un altro punto in comune: stranamente entrambi i libri hanno come titolo una domanda. Coincidenze? Io non credo...

mercoledì 19 novembre 2014

Avviso ai naviganti che ci tengono a contribuire al blog: prende vita come una pianta grassa piena di spine e amore "Piccolissime recensioni tra amici"!

Come noterete, sull'ormai incasinatissima barra destra del blog c'è una nuova apparizione: le piccolissime recensioni tra amici.
Forza, non volete essere affascinanti protagonisti pieni di stelle
come l'incantevole Creamy?
 Chi mi segue su fb, (dove spendo buona parte del mio tempo libero), saprà di questa geniale idea avuta a seguito della richiesta di un'assidua commentatrice che chiedeva in qual modo i lettori del blog avrebbero potuto interagire con esso oltre a commentare random.
 Il mio cervello ha fumato per una giornata intera e poi ecco l'idea: parafrasando la neonata rubrica di recensioni di dimensioni meno giganti del mio solito, ho partorito "Piccolissime recensioni tra amici".
 Sostanzialmente qualunque lettore del blog lo desideri, può mandarmi tramite la mail lagiovanelibraia@libero.it o in pvt sul fb della pagina, una recensione di uno o due righe al massimo, di un libro che vuole assolutamente consigliare al mondo o che, al contrario, vuole distruggere perché nessuno incappi nel suo stesso errore.
 Le uniche regole oltre alla lunghezza sono:

1) Dovreste mandarmi anche una foto del libro fatta a vostro piacimento (con voi nascosti dietro una siepe, col libro appeso ad un camino, col libro solo in un teatro ecc. ecc). Ovviamente tutto nei limiti del buon gusto che tanto se no, non la pubblico.
2) E' fatto assoluto divieto di recensire un libro di cui siete autori, mogli o mariti, parenti e amici degli autori. E' vero che non posso avere la certezza al tremila per mille visto che non vi conosco, ma vi prego di essere eventualmente corretti.
3) Se distruggete un libro dovete motivare (ergo non vale "Porcata megagalattica. Punto") e non dovete essere offensivi o volgari in modo gratuito, ironici ovviamente sì, satirici pure, ma insomma lo sapete voi.

 Sappiate che non esistono doppioni. Quindi se Pinco Pallo ha già recensito il libro del vostro cuore o distrutto il libro dei vostri incubi, ebbene potrete farlo anche voi. Non esistono doppioni, visto che non possono esistere opinioni doppione!
 Dato questo elenco che manco la signorina Rottermaier, ringrazio ufficialmente Chris Po in quanto primo donatore di recensione e Tina Pica in quanto miccia che ha messo in moto codesta novità.
 Attendo consigli allora!

 (Mi sa che la barra comunque è ormai troppo incasinata e dovrò modificare un po' il layout del blog).

La nostra storia e la storia d'Italia viste dal cibo. Una graziosa graphic novel e un saggio mayalesco per porre l'accento su quello strano rapporto che intercorre tra un essere umano, il suo stomaco e i suoi ricordi storici e familiari.

Ognuno di noi ha un rapporto particolare col cibo.
Ce lo avevano anche regalato, ma terrore delle onde nocive
vincit omnia
 Non parlo di un rapporto di odio o amore, di gusti o preferenze, ma un rapporto letteralmente storico. Per ragioni sociali, regionali e principalmente familiari, se ognuno di noi tentasse di scrivere la storia della propria vita attraverso il cibo, scoprirebbe quanto questo abbia influenzato la sua esistenza.
 Vi faccio un esempio. 
 Ci sono varie cose di cui io non riesco per educazione a fare uso: la lavastoviglie (che mio padre ha sempre considerato uno spreco di energia), il forno a microonde (che ci regalarono anche ma mio padre ha sempre pensato nuocesse alla salute), la centrifuga per pulire l'insalata (che mia madre ha sempre fissato con sospetto soverchio) e persino lo sbattitore per amalgamare l'impasto della torta di mele.
  Lungamente mi è stata passata anche la convinzione che mangiare più di due uova a settimana avrebbe causato la mia morte per eccesso di colesterolo seduta stante (ancora adesso ho serie problemi a fare frittate con tre uova) e da bambina ricordo il terrorismo psicologico sulle merendine (mio padre agitava lo spettro di un fantomatico cugino il cui eccessivo uso di merendine aveva fatto cadere tutti i denti che a furia di mangiare cose morbide avevano perso robustezza).
 Sostanzialmente i miei genitori erano persone che astutamente mi imponevano una dieta accompagnandola da storie che la rendessero non solo credibile, ma anche ineluttabile. Volevo morire io a causa di un uovo in più o stramazzare a causa di un surgelato (i miei avevano un atteggiamento sospettoso anche verso di essi, ora ne sono grandi fan)? Giammai!
 Da cosa nasce codesta profonda riflessione? Dalla lettura, uno dietro l'altro di due libri che hanno in comune il rapporto tra il cibo e i ricordi.
 Non sto parlando di quelle robe a base di ricette segrete e amori del passato, ma della molto graziosa graphic novel  "Acquolina. La mia vita tra i fornelli" di Lucy Knisley ed. Rizzoli e di un grazioso saggio sulla storia d'Italia vista dall'evoluzione delle mode culinarie dal secondo dopoguerra ad oggi.
 Il primo l'ho letto per caso. la copertina, complice quel lilla infestante non è proprio invogliante, invece l'autrice, una giovane americana con la passione per il cibo (non il cibo americano, il cibo buono), ripercorre la storia della sua vita tramite alcuni piatti che le sono rimasti impressi.
 Non è zuccherino, non è buonista, non parla di ammmore, ma è piuttosto un resoconto molto divertente delle sue alterne vicende familiari e dei viaggi (numerosi, beata lei) che seppur giovane, ha fatto per il mondo. Inizia quindi dal delirio della fattoria biologica in cui sua madre incolse subito dopo il divorzio, quando era bambina.
 Trasportata in una fattoria dall'oggi al domani, riuscì a trovare il lato divertente e interessante della faccenda. Scoprì come si allevano polli, come gli agricoltori vicini si aiutino e si freghino a vicenda e il magico mondo dei mercatini biologici (dove non comprava, ma vendeva). La storia continuava poi con un'adolescenziale viaggio in Messico che assunse gli strani toni di un rito di passaggio, una visita in Giappone al suo migliore amico, travasato adolescente dai suoi genitori in un posto di cui non capiva la lingua e i costumi (ma apprezzava il cibo).
 I disegni, molto graziosi, molto da blog aggiungerei, hanno un grande pregio: nonostante la semplicità fanno venire una grande fame. Soprattutto un piatto messicano a base di uova,  Huevos Rancheros, una cosa che appena avrò tre minuti di tempo mi metterò a spadellare.
 Il secondo libro invece, "La repubblica del maiale" di Roberta Corradin ed. Chiare Lettere, lo corteggiavo da un po'.
 Avevo letto dei pezzi a campione e l'autrice non mi sembrava la solita pomposa critica alla ricerca dell'aggettivo ricercato che infarcisce gli articoli di arzigogolamenti insopportabili. Inoltre, io ho sempre avuto una passione non tanto per il maiale come cibo quanto per la parola maiale (e per tutti i suoi sinonimi, suino in particolare), quindi l'attrazione era totale.
 Considerando il prezzo non eccessivo, 12,90 infine mi sono buttata. Ho fatto bene. Segnatevelo per Natale come libro grazioso da regalare al parente di turno che magari legge poco, ma idolatra Masterchef  (o ama leggere anche cose leggere e ama Masterchef). 
 L'idea sembra banale, ma è trattata in modo molto grazioso: cosa decreta il successo e la sopravvivenza (o il revival) di alcuni cibi in determinati periodi storici?
La parola scandali non c'entra molto, ma ormai
per i frontespizi della Chiare Lettere è un must
irrinunciabile
 Poiché il '900 è stato un secolo breve e la Repubblica è molto giovane, la disamina corre velocissima saltabeccando tra i decenni e il libro va giù in un lampo. Non c'è molto spazio per le vere considerazioni sociologiche, ma l'ironia con cui si descrive il rapporto tra un essere umano sempre più distante dalla terra e sempre più attaccato ad altro è l'asse portante di quella che alla fine è una sorta di romanzo con un mucchio di illustri vittime.
 Si parte dal dopoguerra, in cui i nostri nonni o bisnonni quasi tutti poverissimi e molto più agricoli di noi, autoproducevano qualsiasi cosa, scandivano i propri ritmi vitali a seconda delle stagioni, delle sementi e delle bestie da loro allevate e mangiavano forzatamente cibarie povere che noi pauperisti per moda di ritorno, passiamo come bocconi prelibati.
 E in effetti lo sono, a me, per dire, la carne non piace, men che meno le salsicce. Ebbene, di quelle che mia nonna faceva alla brace in campagna mentre coglievamo le olive al suo terreno in novembre quando ero bambina, me ne sarei mangiata chili, come anche le bistecche.
 Di ritorno a casa le pretendevo per poi rimanere disgustata e interdetta dall'abisso che intercorreva tra una stupida bistecca del supermercato cucinata in padella e quella delizia nonnesca,
 Gli anni '60 e '70 segnano l'inizio del boom economico e dell'industrializzazione. Le massaie si dibattono tra alterni sentimenti: fare tutto a mano, dalla maionese alla pasta brisè per dimostrare di essere la casalinga dell'anno o cedere alla tentazione delle creme già pronte, della gelatina industriale e della magica panna in confezioni brik (che peraltro fanno tanto moderno)? Vince ovviamente la seconda, anche perché col passare degli anni, il tempo fuori casa cresce assieme al numero vertiginoso delle ore passate in ufficio.
 Negli anni '80 iniziano i cibi precotti, quelli per single e i grandi assemblaggi: pezzi presi qui e lì a formare piatti che non richiedono nessuno sforzo se non l'entrare in un supermercato (uno su tutti la rucola col grana). Poi, tra gli anni '90, minimal persino in cucina e le grandi sperimentazioni molecolari del 2000, si arriva alla crisi, dove lo spettro della carestia fa correre al riparo.
Peraltro dovete sapere che mia nonna, che è laziale dop doc da
tremila generazioni, somiglia davvero tantissimo alla Sora Lella
La più grande sicurezza iniziano a darla, manco a dirlo, gli ingredienti locali, ecologici, a km zero, molto ritorno alla terra style.
  Qualcuno paventa un ritorno alle origini nonnesche, ma fidatevi che se metto davanti a mia nonna una roba semicruda pseudovegana o con spolverate di robe igp, doc dop a caso, essa mi guarderà con lo sguardo di chi si chiede: ma mia nipote si droga?
 Perciò, indicativamente, a parte rari casi, in questi pallidi anni '10, siamo un po' come Maria Antonietta che nel film della Coppola gioca alla casetta di campagna con la figlia nel giardino, con le cameriere che le puliscono le uova sotto le galline perché essa non si sporchi le mani.
 Un libro muy grazioso, pieno di ricette dei tempi che furono, abominevoli ai nostri occhi eppure un tempo must irrinunciabili. E il terrore a quel punto corre sul filo: che cos'è che stiamo mangiando con tanta foga ora che un giorno i nostri nipoti troveranno assolutamente raccapricciante?
 Ai posteri l'ardua sentenza.

Ps. Dedico questo post a mia nonna, che un giorno mi sconvolse affermando di non aver mai visto né assaggiato una melanzana fino ai 16 anni di età (mia nonna non ha neanche 80 anni).

martedì 18 novembre 2014

In un mondo dominato dall'economia e dai suoi diktat, serve ancora il liceo classico? E a cosa? Apologia di un baluardo di un differente modo di pensare, concepire, sperare e interpretare il mondo.

In questi giorni, in quel di Torino, c'è stato un finto processo al liceo classico. 
 Attaccato da più parti con l'accusa di essere obsoleto e inutile per l'attuale mercato del lavoro (se leggi mercato delle vacche stai solo avendo un serio misunderstanding freudiano), poco "cool" e poco sensato nel nostro globalizzato mondo dove o conosci sei lingue e sai usare il computer come un hacker o non sei nessuno, ha visto quest'anno un tracollo delle iscrizioni.
 Con mio sommo sbalordimento pare che solo il 6% dei neoiscritti alle superiori abbia scelto quella che la generazione del mio non troppo vecchio padre considerava la scuola in grado di sfornare "la nuova classe dirigente".
Credo di averlo detto più di una volte: io ho frequentato il liceo classico.
  Non l'ho fatto perché speravo di dirigere qualcuno o perché lo consideravo un liceo d'elite o per volontà dei miei genitori (i quali anzi, avevano ampiamente caldeggiato lo scientifico) o perché, poeticamente, credevo che mi avrebbe aperto sterminati orizzonti.
 L'ho fatto, molto più prosaicamente, perché ero una fan sfegatata di Indiana Jones e sognavo, un giorno, di girare il mondo alla ricerca di anfore maledette, oggetti introvabili e specificatamente la tomba di Alessandro Magno. I miei, che non navigavano certo nell'oro, avrebbero potuto fare ciò che fanno con molta più solerzia molti genitori (soprattutto quelli che nell'oro ci navigano e ci tengono a che i loro figli continuino il loro aureo percorso) ossia persuadermi che con materie più scientifiche alla mano mi sarei arricchita con soverchia facilità.
Non lo fecero. Si fidarono, in linea di massima, di quell'ormai nebuloso principio che è lo studiare ciò che piace e ciò per cui si è portati. Io ero sempre stata una capra in matematica e bravissima a scrivere (e facevo giù inutili furori in latino in terza media, durante le ore che il professore di italiano ci propinava di rapina) così, non videro motivazioni per costringermi a capreggiare al liceo tradendo le mie naturali inclinazioni.
 Da quel che leggo e da quel che sento da svariati anni , con più forza da quando mi sono laureata in una materia assolutamente non spendibile nel mercato (anche perché si tratta di una materia che non ha mercato, ma rientra nell'ambito dei servizi al cittadino e quindi non è per sua natura in grado di produrre denaro), le materie umanistiche sarebbero ormai carrozzoni del passato completamente inutili.
 In realtà trovo l'odio verso il liceo classico non solo miope, ma anche abbastanza cretino. Studiare in un liceo del genere non preclude certo la possibilità di iscriversi a materie scientifiche. Non parlo di rarità, ma di numerosi studenti che scelgono medicina e non ultimo il migliore, documentato e reale, amico di mia sorella, che ha appena vinto un dottorato in Fisica in un'assai importante università pubblica.  Liceo classico alle spalle e nessunissimo pentimento al riguardo.
 Collegare perciò la frequentazione del liceo classico all'automatica iscrizione a Lettere e Filosofia è perciò, a mio parere, la prima delle cretinate.
 La seconda è credere che il problema si annidi in quello che non solo è un ottimo liceo, ma farebbe benissimo alla stragrande maggioranza degli italiani. 
 Quando, prima dell'avvento dei social network, le statistiche dipingevano un popolo di analfabeti, io strabiliavo assolutamente convinta di un macroscopico errore di valutazione.
   Certo, i casi disperati alle scuole medie ce li avevo anche io, ma erano, sembrava, uno o due pecore nere di cui tutti dopo la licenza media persero le tracce (ok, avevo anche una compagna di classe che durante gli esami confuse l'Africa con l'America del Sud, ma era appunto una su 25). 
 Ora, il meraviglioso mondo di internet, mi ha permesso di vedere coi miei occhi e toccare con la mia tastiera l'abissale ignoranza linguistica di un popolo che se Dante potesse vedere precipiterebbe all'inferno seduta stante.
L'ho pescata da internet e faccio notare come il tizio che si è
occupato di fondellare la ragazza, abbia sottolineato il verbo,
completamente dimentico del fatto che "Un'altra vita" chiede
l'apostrofo, anzi, direi che lo implora.
 Gente che non ha ancora compreso che l'italiano non è il francese e infila accenti non richiesti in ogni dove "stà invece di sta, sò invece di so", la totale incomprensione di quello strambo fenomeno linguistico che è il troncamento (innumerevoli gli italiani che nei tatuaggi sognanti si fanno scrivere "Ho bisogno di un pò di vita"), e questo senza infilare il dito nella sintassi, questa sconosciuta.
Com'era possibile che dopo innumerevoli anni di scuola dell'obbligo si potesse arrivare a non mettere due parole in fila e quattro in croce?
Tale ignoranza pervicace di italiani che, stando alle statistiche non hanno abbandonato certo la grammatica in favore della fisica (statistiche internazioniali ci danno zappe in entrambi i campi), genera plotoni estremisti altrettanto folli: i grammarnazi che stanno lì con la penna da errore blu a carpire l'errore certo in cui incorrerai, il congiuntivo che dimenticherai, la virgola che metterai tra soggetto e verbo.
 La penna blu aiuterà il loro ego, ma certo non consente loro di vedere il vero fulcro del problema che non è quello di riuscire a portare a casa un dieci e lode sul tema.
 Il punto è che si incolpa il liceo classico di un innumerevole serie di nefandezze di cui è completamente esente.
1) Chiunque imbocchi il liceo, anche scientifico, anche linguistico, sa con cognizione di causa che dovrà necessariamente iscriversi ad un'università per completare la sua formazione. 
2) Se c'è un istituto che viene trattato in modo obsoleto, ebbene, quella è l'università.
 Ho studiato come una pazza materie di cui non solo mi domando tanto l'esistenza, ma soprattutto il motivo di esistenza nel piano di studi. Cattedre tenute in piedi per professori che dovevano andare in pensione da tremila anni, crediti sparsi in ogni dove come bollini del latte in materie che post-riforma Moratti non si sapeva dove infilare. Il problema di abolire robe come "Storia degli ordinamenti degli stati italiani" in corsi di laurea che beneficerebbero assai di più di corsi specifici su programmi informatici inerenti alle materie di studio (ce ne sono a pacchi anche per gli umanisti, non crediate che a loro non serva conoscere il codice html o xml), è dell'università, non del liceo classico.
La protagonista della seconda serie de "I liceali", una rarissima
serie tv italiana a mio parere fatta bene. Nella seconda serie il tema
del "A cosa serve studiare ora? A cosa serve studiare una materia
umanistica a ora? A cosa serve studiarla se sei una persona con
pochi mezzi economici?", viene trattato benissimo.
 Il liceo classico, per l'età particolare dei suoi studenti, rientra nel campo della formazione non solo culturale della persona, ma della persona stessa. 
 Si studia filosofia non per diventare filosofi, ma per comprendere che il mondo non è quello che ci danno per certo.
 La storia, la letteratura greca, quell'assurdo popolo folle che erano gli antichi greci, in grado dalle loro microscopiche città stato di creare le basi di una civiltà che esiste tutt'ora, sono le chiavi che uno studente ha per sempre nelle sue tasche per interpretare liberamente il mondo.
 La tristezza del vedere persone laureate fidarsi della prima bufala web che passa, del primo linciaggio mediatico, dedicarsi all'indignazione cieca davanti ad un servizio di denuncia in tv, ad un articolo, senza porsi delle domande, sentire il bisogno di una ricerca, provare la sensazione di non sentirsi trattato come una pecora, ma come un essere pensante che pone domande, ebbene la tristezza è ormai all'ordine del giorno.
 La camera mortuaria che si sta preparando al liceo classico, in favore di materie "cool", economia in particolare, fa parte di un più ampio disegno, per niente complottista, ma estremamente rapace, della modellazione del mondo secondo nuovi (e in un certo senso anche antichi) criteri. Criteri che non hanno basi solidali, non hanno basi sostenibili, non hanno a cuore i desideri e i bisogni di tutti, di coloro che hanno meno possibilità, sia materiali che mentali, che non hanno in mente una società equa. 
 Il mondo, ci insegnano i nuovi rampanti che inneggiano alla morte delle materie inutili perché non produttive, è di chi guadagna, di chi produce denaro, di chi si appropria del maggior quantitativo di moneta sonante.
 Ed è estremamente necessario a chi questa moneta sonante ce l'ha effettivamente in  mano, che non solo tutti diventino il più individualisti e competitivi possibile, ma che costoro non si pongano mai domande, non si chiedano mai se c'è qualcosa di errato nell'interpretazione della realtà che viene loro offerta.
 Inoltre deve ormai passare chiaro un concetto:
 Se non ce la fai non è il mondo che sta prendendo una chiara piega, sei tu che, evidentemente, non ti sei impegnato abbastanza. Perché non hai superato tutti gli ostacoli? Perché non hai lavorato sodo? Perché non hai studiato? Tutto era per te possibile, sei solo tu che non l'hai voluto. Certo avevi meno soldi di altri, eppure persone più povere di te ce l'hanno fatta, la tua è tutta una scusa. 
 Il tuo destino è quello che ti meriti, non prendertela con la società, non cercare altre interpretazioni
 Il messaggio è già passato, il senso di colpa per non essere diventati abbastanza già instillato. L'attacco al pensiero, al metodo, a quella scintilla che può accendere ancora le menti è già iniziato. Ovviamente non dico che non si possa avere capacità di pensiero e interpretazione studiando materie scientifiche, anzi. Ma provate a pensare all'assurdo contrario: studiare le materie scientifiche non è cool, le materie umanistiche sono l'unica vera via. E' un'imposizione orrenda, insensata, ingiusta e soprattutto folle.

In tempi in cui di denaro non ce n'era, in un'Italia devastata, veniva scritto nella costituzione,
"Art.4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società." 

Ora, opulenti e bramosi di ulteriore opulenza, in troppi rincorrono con assai più foga quelle figure imparruccate che infestano la sezione di economia, Donald Trump che manda tutti al diavolo, Kiyosaki che consiglia, nei suoi saggi sul produrre denaro come ragione di vita, a non leggere libri se non quelli di economia.
 Sirene che rendono folli i marinai sciocchi che tra le tempeste ascoltano canti dolcissimi e mortali infrangendosi sui marosi.
 E' questa solo una sciocca citazione omerica, eppure chissà perché e chissà per come, anche i più sfegatati sostenitori delle materie economiche non potranno non vederci la più esatta delle fotografie della realtà.

Ps. E comunque, sottolineo, se fossi stata brava nelle materie scientifiche mi sarei iscritta più che volentieri a Chimica, solo che, ahimè, non era nelle mie naturali inclinazioni.


domenica 16 novembre 2014

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Battaglia navale".

 Ed ecco la seconda e ultima vignetta del fine settimana.
 In essa si vede ben evidenziata una tendenza del cliente: l'ostinata volontà di non spiegarsi supportata dalla convinzione di essere chiarissimi a prescindere.
 Avete presente quando due vostri amici che si conoscono da molto più di tempo di voi, scherzano riferendosi a cose del passato, scoppiando a ridere davanti a vocaboli insensati?
  (Es. "John ti dico solo questo: salame" "Ahahahah mi fai morire salame salame" e voi lì come cretini che tentate di trovare nessi logici).
 Ecco i clienti dimenticano di non essere amici d'infanzia del libraio e che altresì egli non è dotato di poteri paranormali o telepatici.
 La vignette di cui sotto mostra bene tale dramma dell'incomunicabilità.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Battaglia navale"!



Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ginecologi".

Questo fine settimana tra Bookcity Milano e il lavoro sono riuscita a trafficare poco col blog, ma ecco una delle due vignette (l'altra spero di postarla in serata).
 Ecco una cosa realmente avvenuta in settimana. Una di quelle classiche richieste che mi fa domandare: ma perché stai cercando questo libro???
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Ginecologi".

Ps. Successivamente è riuscita a chiamare e risalire da amici e parenti al titolo. Era una romanzo. Il fatto che l'unico dato rimasto ai suoi ricordi fosse la ginecologia diventava così ancor più misterioso (avevo pensato, al limite, ad un libro di puericultura).

venerdì 14 novembre 2014

"Il superpotere dei librai", un fumetto di verità, doni sovrannaturali, allenamenti e nemici mortali.

 In questi giorni prenatalizi, più forte che mai è la necessità di comprendere per i librai, quali titoli potrebbero essere scodellati con più facilità sotto l'albero. A quali misteriose mode letterarie si appassioneranno gli italiani quest'anno? Vi pare facile capirlo, ma non lo è. 
 L'intuizione è una dote talmente richiesta ai librai da essere infine trattata e sviluppata come un superpotere: la preveggenza. 
Avete presente l'allenamento stile Dragon Ball in cui solo anni di prove durissime, escoriazioni e nemici mortali, permettono di sviluppare le doti di un guerriero sovrannaturale?
 Ebbene, tale allenamento per lo sviluppo della preveggenza è quotidiano e come ogni cosa fortemente determinato dal talento.
 Ma di cosa sto parlando esattamente? Leggete il fumetto e capirete!
 "Il superpotere dei librai"!
Ps1. Ok, forse il primo utilizzo non è preveggenza, ma lettura del pensiero o la vedenza di padre Maronno, ma siamo sempre nel campo dei poteri Psi.
Ps2. Rappresentati editoriali non odiatemi, se fà pe' ride.





Bookcity Milano 2014: presentazione della mostra "Nuvole sul lavoro"!

 Sei vacante per Bookcity Milano e non sai cosa fare e dove andare perché ci sono sette miliardi di eventi tutti bellissimi e interessanti?
 Ti piacciono i fumetti (soprattutto quelli satirici) e i racconti (soprattutto satirici)?
 Il 15 Novembre alle ore 17:30 presso la Biblioteca in Porta Venezia, Via Frisi 2/4 c'è la presentazione della mostra di illustrazioni, racconti e fumetti "Nuvole sul lavoro" by la rivista acetilsatirica "Aspirina"!
 Si parla, si ride, si intervista e se magna pure. Accorrete numeros*!!
 (Scusate il tono da invito di compleanno delle elementari).


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