martedì 11 novembre 2014

Nuova rubrica: "Piccole recensioni tra amici"! Recensioni mignon (per i miei standard) di libri vari ed eventuali che mi passano tra le mani. Per cominciare: Dylan Thomas, Shopping e inutili magie giapponesi

Tutti i bravi bookblogger hanno delle rubriche fisse.
Peraltro sono legata a Creamy dal fatto che mia
madre, quando ero bambin,a sosteneva somigliassi
a Yu.
 E il venerdì fanno shopping in libreria, e la domenica si rotolano tra i prati col loro libro preferito postando foto su twitter al grido di "Domenica con libri e prati #157", e il lunedì si impegnano a recensire solo autori indocinesi, e la quarta domenica del mese parlano solo degli autori che iniziano per S.
 Insomma trovano il modo di strutturare il loro blog in modo meno caotico del mio e indubbiamente più saggio, sia perché ciò dà una parvenza giornalistica al blog, sia perché così magari alcuni lettori che si appassionano a determinate rubriche stanno lì che aspettano con ansia la nuova foto della blogger che si sdraia in un campo di lupini #158. 
 E' una cosa che ho cercato di fare anche io con "Rieduchescional libraia" o "Piccoli libri per piccoli tragitti", tuttavia sia in casa che a lavoro posseggo uno schema organizzativo che non mi permette di condurre qualcosa in modo lineare, vivendo in un caos perpetuo. Tutto ciò per dire che le rubriche fisse proprio non sono il mio genere.
 Nonostante ciò, ho deciso di inaugurare una nuova rubrica, senza alcuna cadenza, dal titolo "Piccole recensioni tra amici" (parafrasando il libro di Arto Paasilinna "Piccoli suicidi tra amici") in cui farò delle recensioni non lunghissime di quei libri che ho letto,ma farci un post lungo diventa un po' difficile.
 Simbolo di tale rubrica sarà l'incantevole Creamy, poichè, come scrissi nel post sui bookblogger, dare voti ai libri, mi trasmette sempre quella sensazione di coccarda: "Tieni tesoro, meriti due stelline brill brill".
 Inizio con due romanzo e una biografia. Let's go!

"CONFESSIONI DI UNA VITTIMA DELLO SHOPPING" di Radhika Jha:
 Libro già citato in occasione del post sui libri coi titoli tradotti peggio in italiano, è una di quelle opere giapponesi che generalmente piacciono a tutti gli appassionati dell'oriente e possono lasciare svariati punti interrogativi in tutti gli altri.
 L'autrice, indiana, ha vissuto molti anni in Giappone, ed è riuscita a fare un'ampia provvista di quella morbosità estrema nei rapporti e nel rapporto col corpo che codesto amabile popolo fa mostra di possedere.
 Nella storia, una ragazza, Kayo, dal seno very procace si sposa giovanissima e fa un figlio quasi subito, così senza un vero perché. Negli anni successivi diventa una classica donna abbrutita dalla vita, sciatta, con un marito che ama i suoi seni e un'altra figlia al contrario di lei volenterosa e intelligente.
  Tutto regolare ,sennonché ad un certo punto, riappare dal niente la sua migliore amica d'infanzia, Tomoko, una donna bellissima vestita grandi firme dalla testa ai piedi. Grazie a lei, Kayo scopre il grande fascino dello shopping compulsivo, del possedere vestiti meravigliosi e di sentirsi grazie ad essi una persona migliore.
 Poiché io questo grande fascino dello shopping l'ho provato raramente (peraltro in genere mi appassiono assai di più alle cose per la casa che al vestiario), tecnicamente tale discesa negli inferi dei debiti fatti per entrare in possesso delle ultime scarpe in coccodrillo di Prada, avrebbe dovuto annoiarmi prima di subito.
 In realtà il libro ha poco a che fare con lo shopping e ne ha sai di più col capriccioso animo umano.
 Cosa spinge una ragazza che non vuole essere giudicata solo dal suo seno (che in Giappone fa tre quarti di bellezza pare), che non vuole vivere la stessa vita di sua madre, a sposarsi giovanissima rinchiudendosi volontariamente in una gabbia? In quale modo la pressione sociale può influire sull'anima di coloro che si sentono più deboli e anelano all'accettazione a qualsiasi costo, anche il più folle o irragionevole?
 Questo libro fa ciò che ci si aspetta da un romanzo:racconta un fatto per svelarti un essere umano e non è poco, non è poco.
Voto: 7 e 1/2

"DYLAN THOMAS. ESSERE UN POETA E VIVERE DI ASTUZIA E BIRRA" di PAUL FERRIS:
 In questi giorni si festeggia (oddio festeggiare è un verbo inquietante) l'anniversario della morte di Dylan Thomas, meraviglioso e strambo poeta inglese, morto giovane a causa di una commistione di problemi respiratori (broncopolmonite unita ad un'eccessivo inquinamento presente in città durante il suo ultimo e letale viaggio a New York).
 In realtà prima di leggere questa accuratissima biografia di Paul Ferris edita da Mattioli 1885, avevo (complice una scarsa conoscenza della letteratura inglese contemporanea), un'idea molto romantica della sua persona.
Sapevo che come molti poeti, specialmente se provenienti dal volgo e non da famiglie benestanti, aveva vissuto lungamente in povertà o grazie all'aiuto di mecenati, ma ignoravo davvero il suo lato ambiguo.
  Un poeta tanto geniale quanto assolutamente ambizioso sin dalla più tenera età, quando, viziato e incoraggiato da due genitori che sentivano (specialmente il padre) di essere anch'essi superiori alle persone che li circondavano, inviava poesie a riviste e concorsi. Tale era la sua smania di vincere e primeggiare che nonostante il talento precoce copiò, poi scoperto, una poesia non sua, senza pentirsene.
 Aveva, al contrario, di molti poeti della sua generazione, un comportamento molto edonistico ed egoistico, poco proiettato all'esterno, in empatia col mondo, ma non coi problemi del mondo. Il suo atteggiamento picaresco, quasi da Puck della situazione, attraversò nel tempo tutte le parti della sua breve vita: un poeta della sua risma (conscio del suo talento al contrario di tanti altri scrittori che in vita si reputarono banali, come Lovecraft), non aveva remore nell'implorare i suoi numerosi benefattori, con lettere che travalicavano di parecchio la soglia della dignità. Sposato ad un'effervescente ragazza irlandese, Caitlin MacNamara, molto amata (e talvolta odiata visto che a Dylan non piaceva nei suoi periodi americani che gli si ricordasse di possedere una famiglia), ebbe svariati amori (anche bisex nel suo primo periodo cittadino). E soprattutto tra una poesia e una preoccupazione, beveva e beveva e beveva.
 La biografia è davvero un tesoro per gli appassionati, più impegnativa per chi si approccia a lui per la prima volta e viene investito da una quantità di informazioni gigantesca.
 Apprezzo maggiormente le biografie che gli autori riescono a strutturare tentando di empatizzare col personaggio (insuperabile "Il talento di miss Highsmith") rendendolo più una persona, che la figura bidimensionale di un libro di letteratura,  cosa che manca a questo lavoro, seppur grandioso.
 Ps. Mi ha molto divertito scoprire che il nome Dylan, prima che il poeta diventasse famoso, fosse un nome molto raro, proveniente dalla citazione di una saga nordica.
 Voto: 7

"IL DOLORE LE OMBRE LA MAGIA" di BANANA YOSHIMOTO:
  Ho già spiegato come io non riesca a staccarmi da questa autrice per sentimentali motivi di origine adolescenziale (mi colpì tantissimo quando avevo quattordici anni e per tantissimo intendo che mi spalancò un mondo) e continui a leggerla in nome di quell'antico amore. Questo libro è il terzo di una tetralogia, 100 paginette per ogni libro. Il primo, "Andromeda Heighs" non era ovviamente all'altezza dei suoi primi libri, ma almeno aveva uno spunto di storia, non era moralista e sembrava possedere alcuni spunti interessanti. Il secondo, uscito pochissimi giorni fa è un pianto.
 Io apprezzo molto i libri e anche i film che parlano dei momenti vuoti della vita. Quelli in cui vorresti fare disperatamente qualcosa, ma qualunque direzione ti appare sbarrata, chiusa da un muro invalicabile.
 Sono momenti di stasi dovuti ad un misto di sfortuna e scoraggiamento che gettano gli esseri umani in un limbo frustrante. Mi ci sono ritrovata ed è per questo che amo molto il film "Somewhere" di Sofia Coppola che in molti considerano un'epica palla.
 Questo libro cerca un po' di riprodurre quel fatale momento di vuoto, fallendo miseramente. Più che il vuoto della vita, questo interminabile libretto sembra un esercizio di scrittura della Yoshimoto, in evidente difficoltà nel riempire 100 pagine di un qualche significato. E' tutto un amore per la vita, una fatica, un andare avanti, che per carità, avrebbe anche un senso se fosse vagamente sentito dall'autrice. Invece, il tutto risulta freddo, inutile e noiosetto. Se un editor fosse passato dalle sue parti avrebbe tranquillamente depennato tutto, per andare avanti e saltare dal primo al terzo, che come un'idiota so già che leggerò.
 Voto: 1.

Ah un appunto sulle nuove uscite. Ho comprato tutta diligente la prima edizione di "1Q84" all'uscita. Una copertina discutibile peraltro ripetuta sui due libri, al colmo dell'originalità.
 Ora è uscita una seconda edizione, cofanetto, bellissima. Mi sento un tantinello presa in giro ecchecavolo.

Ah, tenete presente che io sono come le insegnanti delle superiori, mi tengo coi voti molto bassi, così potete fidarvi che quando vedete un 9 o un 10, sto parlando di qualcosa di davvero superlativo.

1 commento:

  1. Avevo interesse per la biografia poi ho capito che non era per me, proprio perché non conosco bene il poeta e le sue poesie. Adoro la Yoshimoto ma purtroppo in alcuni libri si nota che non c'è il sentire dell'autrice. Avevo visto questo in libreria la settimana scorsa e in effetti non mi ha attirato (sesto senso libresco?) Bella rubrichetta comunque, molto utile! Sii tu la prima blogger dalle rubrichette a sorpresa! Certe volte è bello non aspettarsi nulla, no? :)

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