martedì 31 maggio 2016

I ragazzi hanno bisogno di esempi, non di Exempla. La differenza sottile tra un libro che procede per temi didascalici e una storia in cui precipitare follemente. Entrambi possono piacere, ma solo uno lascia qualcosa.

 Molti dei libri che danno da leggere a scuola (in realtà molti dei libri che escono, ma in questo caso specifico è ancora più lampante), con tutte le buone intenzioni, sono secondo me troppo didascalici. 


A girl daydreaming during class, Florida,
 March 1947. Photo by Allan Grant.
 Sono, quelli che si potrebbero definire "Romanzi a tema".
 Io scrittore scrivo un libro e presento un dramma, una problematica, una ferita del nostro tempo, a uso delle nuove generazioni e degli studenti. L'idea da un certo punto di vista è encomiabile, il risultato secondo me rischia però di non essere quello sperato.
 Prendo come esempio un successo dell'anno scorso molto dato come lettura scolastica: "Non dirmi che hai paura" di Giuseppe Catozzella. 
 La storia racconta la breve vita di Samia, atleta somala giunta ultima alle olimpiadi di Pechino e morta in mare mentre cercava di raggiungere le coste italiane col sogno di tornare in Inghilterra per prepararsi adeguatamente a Londra 2012.
 La vita di Samia così breve e così particolare si prestava indubbiamente ad essere raccontata in un libro e il risultato non è male, tuttavia a me, personalmente, non è piaciuto.
 La spiegazione di questo paradosso è molto semplice: la storia della giovane, sfortunata, Samia è potente, il modo in cui è stata raccontata no.
  Questa faccenda della potenza è il tallone d'Achille dei romanzi a tema che hanno sempre un po' il retrogusto posticcio dei romanzi commissione: la sua storia non è solo la sua storia, ma un modo per mostrare la tragedia dei migranti.
 Il risultato può anche essere toccante in un primo momento, ma i sentimenti sembrano tagliati con l'accetta: tutti sono buonissimi o cattivissimi, mancano i chiaroscuri e l'immedesimazione è una faccenda tanto facile quanto labile. Tutti noi parteggiamo per istinto con una ragazza che cerca la libertà, ma se la scrittura non ci colpisce in modo da farci desiderare per primi la libertà che lei va cercando, tempo pochi giorni e ce ne siamo dimenticati.
Dobbiamo sentire il dolore per ricordare il dolore.

 Ovviamente Catozzella e gli scrittori che si sforzano di trattare temi contemporanei hanno colpa fino a un certo punto: c'è bisogno di questo genere di storie ora e non si può aspettare che venga fuori (e verrà) il best seller che spazzerà via le nostre remore e certezze.
 Fanno, diciamo, il loro onesto lavoro.
 Ho parlato del suo libro, ma ce ne sono altri e tutti hanno lo stesso problema: si procede così tanto per temi e una sorta di didascalismo bencelato o malcelato che non sembrano romanzi, ma fiabe per adolescenti.
 L'eroe che sbaglia, capisce l'errore, si redime, comprende che non bisogna discriminare, che la mafia fa schifo, che il camorrista bello però è anche cattivo e punto.
   Si propongono perciò a ragazzi sulla via della maturità, schemi che generalmente riserviamo agli infanti (anzi, le fiabe di un tempo avevano più profondità psicologica).
 Si parte dal presupposto, non si sa perché, che i ragazzini si trovino immersi in pensieri che sono o buoni buoni o cattivi cattivi, le sfumature del dubbio, dell'eventuale fascino del male (che a mio parere sia accentua quando vedi che nei libri i veri buoni non hanno mai un dubbio) non è presa in considerazione.
 In realtà un quindicenne i suoi dubbi amletici ce l'ha, le sue convinzioni, solitamente assai radicali, inizia ad esprimerle (con tutto il tempo di cambiarle 700 volte, ma intanto ce l'ha) e non riguardano spesso teneri fiori che crescono nei campi o aneddoti degni dei fioretti di San Francesco.

 Per dirla in una frase sola: gli adolescenti hanno bisogno di esempi scritti bene, non di Exempla.
 Il santino ha la durata di un libro, una storia che colpisce attecchisce per anni.

 Per far comprendere questo mio lungo discorso, consiglio caldamente la lettura (soprattutto a eventuali insegnanti di medie e superiori) de "La vita secondo Banana" di PP Wong, Baldini e Castoldi.
 Chi è costei?
PP Wong
PP Wong, incredibilmente la prima scrittrice sino-inglese a pubblicare un libro, possiede quel ritmo scorrevole e luminoso che hanno gli orientali, minimalisti senza quel bisogno ricercato di esserlo a tutti costi. La semplicità nella scrittura viene loro naturale e i libri scorrono velocissimi, pur trattando, come in questo caso, temi abbastanza complessi.
 La storia infatti è quella della piccola Xing Li, ragazzina di origine cinese nata e cresciuta a Londra, che durante la festa di compleanno dei suoi 12 anni perde in modo assurdo sua madre (esplode un forno in un ristorante cinese), dopo essere rimasta già orfana di padre alla nascita. 
 Lei e il suo intelligentissimo fratello maggiore adolescente, Lai Ker, vengono dati in affido alla ricchissima nonna, una cinese originaria di Singapore molto severa.
 Come ci si aspetta dagli orientali è una sorta di nonna tigre che iscrive immediatamente i nipoti a costosissime scuole private e pretende eccellenza, soprattutto in campo scientifico: i poeti in famiglia non sono ammessi, le uniche professioni degne di questo nome sono il medico, l'avvocato o il broker.
 Lai Ker, genietto che mette il suo talento a disposizione di progetti sempre più inquietanti di supremazia cinese in Inghilterra, viene lasciato in pace dall'anziana, ma così non è per la povera Xing Li che non solo non brilla a scuola, ma diventa il bersaglio dell'odio di una sorta di reginetta crudele dell'istituto.
 Il libro riesce a mescolare una quantità di temi impressionante: la disabilità mentale di un membro della famiglia e le conseguenze sugli altri (lo zio materno della bimba soffre, si intuisce, di una qualche forma o di esaurimento o schizofrenia e Xing Li che si trova improvvisamente a vivere anche con lui, vive la convivenza con difficoltà), la solitudine di chi rimane senza famiglia e quella dei migranti, strappati spesso senza reale convinzione dai loro luoghi d'origine, il bullismo scolastico e soprattutto il razzismo.

 E' curioso che abbia letto da poco "Americanah" della Adichie, un libro indubbiamente più sontuoso e pregnante di questo che, eppure, come avevo scritto, non riusciva secondo me a centrare esattamente il tema della discriminazione come conseguenza dell'appartenenza a una minoranza.
  PP Wong ci riesce perché capisce una cosa fondamentale: la discriminazione non cessa di esistere perché tutti noi abbiamo qualcuno che riteniamo inferiore a noi.
 E' il punto focale che manca in "Americanah": l'idea che comunque non ci sia una fratellanza di minoranze perché in fondo tutti pensiamo di essere migliori di qualcun altro (che discriminiamo a nostra volta).
 PP Wong riesce invece a raccontare questo nodo fondamentale grazie alla storia di una ragazzina improvvisamente catapultata da un contesto sociale molto protetto, in cui sua madre le aveva fatto da scudo costruendole un mondo in cui origini orientali e nascita occidentale riuscivano a convivere in armonia, ad un contesto improvvisamente nemico, in cui lei è la diversa, la muso giallo, la poveraccia.
 Come fa? Costruendo un reticolo di discriminazione che non va a senso unico, ma procede, per ironia lessicale, per scatole cinesi.

 Xing Li è discriminata dai suoi nuovi compagni ricchi, spocchiosi e insopportabili perché è cinese (è anche ricca, ma nel loro immaginario non esistono cinesi ricchi, quindi percepiscono la sua presenza in una scuola d'élite come una sorta di affronto di classe, altro lato interessante).
 Il suo unico amico è Jay un ragazzo per metà cinese e per metà giamaicano.
 Forse non tutti sanno che in oriente non hanno molta simpatia per le persone di colore, così Jay, le rivela che sia i nonni materni (cinesi) che quelli paterni (giamaicani) hanno rinnegato i rispettivi figli a causa della loro unione, fonte di reciproco fastidio verso una diversità culturale ed etnica per loro inaccettabile.
 Xing Li è sconcertata: com'è possibile che dei nonni non vedano il nipote?
  In realtà anche lei scopre di avere una storia simile nel passato: nessuno gliel'ha mai detto prima, ma suo padre era giapponese e dopo la seconda guerra mondiale se c'erano due popoli che proprio non potevano vedersi erano giapponesi (rei di aver commesso una quantità di atrocità durante la guerra sino-giapponese) e cinesi.

 E non è finita, perché ci sono i cinesi original e quelli nati altrove, e il tetto di cristallo oltre il quale molte persone di origine non britannica non riescono ad andare solo a causa del loro aspetto (la zia di Xing Li è un'attrice che viene chiamata solo per ruoli di prostituta o migrante) e il bullismo e la frustrazione che nasce nelle nuove generazioni.
 E' un libro che sembra semplice e contiene una quantità di spunti di riflessione che potrebbero bastare per dieci.
  Xing Li non è una santa, anzi, detesta sua nonna e vorrebbe che suo zio Ho venisse rinchiuso da qualche parte, però ha una caratteristica indiscutibilmente positiva per essere il personaggio di un libro: sembra una persona vera.
 PP Wong avrebbe potuto raccontare l'appassionante storia della prima attrice cinese della storia oppure l'edificante fiaba di una perfetta ragazzina cinese in grado di vincere il bullismo scolastico con coraggio e trionfo. Non lo fa. Non racconta balle, non regala illusioni e neanche santini.
 Scrive di persone che sembrano vere, sbagliano, vincono, perdono e non sono eccezionali.
Sono come noi ed è questa la chiave per risolvere il 90% dei problemi nel mondo: solo quando riconosci l'altro come uguale a te stesso, allora smetti di avere pregiudizi, paura, odio.

E voi cosa ne pensate? Esistono libri a tema? E' una mia impressione? In realtà Catozzella è lo scrittore definitivo e non me ne sono accorta? Testimoniate!

domenica 29 maggio 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "L'anziana che fissava la gente".

Ed ecco a voi la  vignetta del fine settimana.
 Episodio fresco fresco di giornata che immagino sia una variante femminile e libresca di quelli che i miei colleghi nordici mi hanno svelato chiamarsi nel dialetto locale "umarell" ossia i vecchietti che si mettono a guardare i cantieri per le strade.
 O forse era solo una signora molto strana, del resto gli anziani in libreria sono una costante fissa e immutabile.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "L'anziana che fissava la gente"!





venerdì 27 maggio 2016

La distopia non è un genere per signorine. Davvero? Il mondo inquietante di "Solo per sempre tua" di Louise O'Neill, un incubo fantascientifico che a sprazzi esiste già.

Anni fa, molti lo ricorderanno, andò di moda una sorta di minidocumentario di Lorella Zanardo: "Il corpo delle donne".

La giornalista aveva fatto una sorta di collage di immagini prese da vari programmi della tv generalista e ne era risultato un coacervo di sederi al vento, ninfette ammiccanti, capelli svolazzanti, sguardi cucciolosi associati a labbra procaci di diciottenni.

 Devo dire che quando lo vidi ebbi un moto di: "Tutto qui?" (ritenendo non che fosse normale, ma che insomma era l'immaginario che mi avevano proposto più o meno dalla nascita quindi non capivo l'improvviso sconcerto), ma a quanto pare l'opinione pubblica italiana aveva bisogno del proverbiale bambino che dice al re che è nudo, così giustificai in qualche modo lo sconcerto generale.

 Tuttavia le mie perplessità aumentarono quando lessi entrambi i libri della Zanardo (e la intervistai persino per la tesi): c'erano tante buone intenzioni, una base teorica molto vaga e un esercito di testimonianze che volevano essere il grido di dolore di una generazione di ragazze costrette in canoni di bellezza estetici impossibili e in convenzioni sociali da suicidio.

 Ok, tutto giusto, tutto vero, ma c'era qualcosa che proprio non mi tornava. Pensa che ti ripensa la risposta era sempre la stessa: perché queste ragazze frignano e non si ribellano? Di cosa hanno paura?
 La faccenda che subiamo delle grandi pressioni sociali per me ha senso fino a un certo punto. Per me, una volta appurato che neanche mio padre riesce a convincermi di certe cose, non esiste altra autorità morale sulla terra che possa farlo.

 La risposta, perciò, tuttora, non riesco a darmela.

 Quando ero adolescente, le tappe della ragazzina considerata non proprio avvenente le ho passate tutte: vessazioni al suono di "sembri un maschio, sei un maschio, sembri un maschio", amiche che tentano di propinarti orrori ambulanti al suono di "se non ti accontenti rimarrai sola" (a 15 anni, mah), appuntamenti forzati nel tentativo di trovare una persona random che metta a posto il tuo stato sociale (non è bene essere single neanche a 16 anni).
 Non oso pensare cosa sarebbe stata la mia vita adolescenziale se ci fossero già stati i social network.
 In ogni caso, ho sempre pensato, se sopravvivi alle superiori, poi è fatta. Dai diciotto anni in poi chi ha il diritto di romperti le scatole? E se pure qualcuno se lo arroga, quanto ci vuole a mandarlo a spasso?

 Così devo dire è accaduto a me e così ho sempre fatto. 
 Considerando che non mi reputo una persona particolarmente coraggiosa, mi riesce sempre difficile cogliere il motivo per cui molte non riescono a uscire da uno stato di sudditanza che le costringe a un terrore perenne: sarò abbastanza magra? Amata? A posto? Si vedrà che sono una brava fidanzata, moglie, madre?
 Penso che in generale la carica rivoluzionaria e ribelle di cui dovremmo essere portatrici sia stata silenziata sin troppo in questi anni.
Non so come hanno convinte molti e soprattutto molte che è il caso di stare zitte, fido che un giorno una scossa generale ci permetterà di non frignare più sui libri della Zanardo o chi per lei, ma ci darà quella forza di riprendere in mano un discorso interrotto.
 Quel discorso che è: nessuno deve potermi dire cosa posso o non posso essere e fare.

 Un buon inizio potrebbe essere dare una chance a "Solo per sempre tua", una distopia femminista (genere ampiamente praticato in passato, adesso sfortunatamente caduto in disuso) che, sono certa, sin troppi hanno bistrattato per via della copertina (che non ci crederete ha un senso).

 La storia è ambientata in un futuro in cui lo scioglimento dei ghiacciai ha causato una tale catastrofe climatica da uccidere la maggior parte della popolazione mondiale per poi costringere la restante a raggrupparsi nella poca terra risparmiata. 
 Lungi dall'essere vittima di una sorta di retrocessione tecnologica, di certo lo sono di una morale: lo spazio è poco, quello che serve per saperlo gestire davvero sono (o più esattamente si ritiene siano) principalmente maschi e grazie all'inseminazione selettiva si possono concepire solo le femmine che si giudica  possano soddisfare un adeguato fabbisogno per il genere maschile.

 Il fabbisogno viene stimato di anno in anno a seconda dei maschi nati e solitamente ci sono un tot di coetanee tra cui i ragazzi potranno scegliere. Le rimanenti, scartate, possono diventare concubine (prostitute sostanzialmente), rarissimamente "caste" ossia donne che svolgono funzioni di supporto, mentre le rimanenti vengono spedite "sottoterra" dove sostanzialmente saranno vittime di esperimenti medici nazisti in nome dell'eugenetica.
 Ovviamente le ragazze sono selezionate geneticamente per essere tutte bellissime (chi vuole una moglie brutta?) e vivono dalla nascita fino ai diciotto anni in una sorta di collegio dove il loro unico compito è essere belle, fare ginnastica, rimanere il più possibile magre, vestirsi benissimo, imparare a essere graziose, controllate, remissive e tranquille (chi vuole una moglie che non sa stare al suo posto?).
 Così giorno dopo giorno, imparano ad essere belle,  dolci, disponibili e soprattutto in vetta alla classifica: i loro profili e movimenti sono infatti visibili all'esterno, ai ragazzi che un giorno potranno scegliere tra di loro e che, nel frattempo, sono ampiamente occupati a votarle. Essere in vetta alla classifica è letteralmente una questione di vita o di morte: chi si adagia verso il basso è infatti destinata a finire "sottoterra".

 La storia comincia a pochi mesi dalla fine dell'ultimo anno: i giochi sono quasi fatti, i ragazzi che le sceglieranno stanno per arrivare e la tensione è alle stelle. Tutte vogliono il loro posto in paradiso e sono pronte a usare ogni mezzo per ottenerlo.
 La protagonista Freida, in verità, ha sin da subito l'aria di una che finirà male: la sua migliore amica, la spettacolare Isabel, è improvvisamente precipitata in uno stato di abulia/bulimia/isteria/anoressia (tutto di seguito non tutto insieme) incomprensibile e non le rivolge più la parola, riceve telefonate terrorizzanti (le ragazze hanno cellulare e pc connesso a internet con tutti i social in cui rendersi più appetitose e appetibili) e, una volta chiaro che potrebbe avere delle chance, diventa vittima di una sorta di reginetta della scuola che inizia con lei un pericoloso gioco di sudditanza psicologica.

 Noi tifiamo per la povera Frieda, ma sappiamo che è letteralmente un vitello destinato al macello: non dorme per il nervoso, si pone troppe domande e, soprattutto si innamora sin da subito del più avvenente dei ragazzi in attesa di sceglierle. Un ragazzo che sembra a posto persino a noi che leggiamo, eppure..

La O'Neill ha chiaramente saccheggiato
"Il racconto dell'ancella" senza se e senza ma.
Ve lo straconsiglio.
 La cosa inquietante di questo libro è che leggendolo non sentiamo di trovarci all'interno di un sistema che potrebbe avverarsi, ma di un sistema che esiste già.
 Certo, non siamo ancora ritirati in un piccolo appezzamento di terreno, ma l'incubo claustrofobico in cui Freida e le sue coetanee sono immerse è quello che possono tranquillamente vivere molte adolescenti senza attendere lo scioglimento dei ghiacciai

 Viviamo in un'epoca in cui tutto è amplificato all'inverosimile, se qualcuno ti prende di mira alle superiori può renderti la vita sociale un inferno, non hai sistemi veri di difesa, internet è sempre lì, i cellulari sono lì, le persone sono presenti anche quando non sono presenti a ricordarti che non sei all'altezza e tra l'altro la faccenda le rende ancora più subdole.

 Questo libro, sospeso a metà tra la fantascienza e la cosiddetta misteriosa narrativa per giovani adulti (cosa che ha creato più di una perplessità sullo scaffale in cui inserirlo). Potrebbe sembrare un malus, in realtà è un plus.
 In uno scenario tanto apocalittico, la O'Neill ha deciso di raccontare la storia di una pressione sociale sostenuta da una ragnatela di rapporti virtuali con gigantesche conseguenze reali.
 Il punto è: come possiamo dire che i social network e internet siano la via della libertà se non siamo mai stati socialmente controllati come adesso?
 Forse noi adulti (e non tutti visto l'analfabetismo funzionale in giro) abbiamo qualche arma di difesa in più, ma cosa accade a un'adolescente più fragile, esattamente come potrebbe essere Freida, quando sente di vivere circondata da aspettative che non può sostenere?
 E soprattutto, come possiamo desiderare un mondo, in cui un'adolescente non si chiede neanche se vuole sostenerle? 

 Ci sono libri che mostrano realtà di cui tutti abbiamo un vago sentore e ne percepiamo un'ideale gravità.
 Il loro merito è sbattercele per la prima volta seriamente in faccia. Quindi è così, pensiamo.
 Quindi è così. E abbiamo paura.

mercoledì 25 maggio 2016

Lettere e libri dall'inferno. Quando lo scrittore è il diavolo in persona: composizioni demoniache, lettere tentatrici, codici enormi scritti in una notte e un certo figlio degenere.

 E' curioso che siano stati dei film a spingermi a studiare i libri.

 Casualmente, nel corso della mia adolescenza, ho subito la fascinazione di una serie di personaggi cinematografici (tra l'altro, io non sono mai stata una fanatica cinefila anzi) che mi hanno indotto a pensare che i libri antichi e i loro misteri fossero il top del top: trattasi del sempre citato Indiana Jones, del sempre citato "Il nome della rosa" (di cui vidi casualmente il film a 13 anni e ne rimasi fortemente impressionata) e de "La nona porta" un film di Polanski che parte in modo fantastico e finisce in modo miserevole.

 Tratto da un best seller di Arturo Pérez-Reverte, "Il club Dumas" (che provai anche a leggere, ma all'epoca ero troppo fresca di studi bibliologici e trovavo errori di codicologia e storia del libro ovunque) ha per protagonista Dean Corso, bibliologo esperto valutatore di libri che, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non vive una triste vita sepolto in casa, polveroso e avvizzito, ma è un figone con le fattezze di Johnny Depp che vive una vita di sballo, donne e pericolo.
 La storia comincia quando un editore, collezionista di libri antichi, in possesso di una seicentina stampata a Venezia appunto nel 1666 da un misterioso tipografo, Aristide Torchia chiede il suo aiuto. In tutto il mondo ne esistono solo tre copie, ma effettivamente solo una sarebbe autentica e ingaggia Corso per identificarla.
 Il particolare non è irrilevante: all'interno dell'opera ci sono infatti delle importanti xilografie (illustrazioni ottenute da una matrice lignea) che sarebbero copie esatte di un perduto e malvagio tomo, l'Horrido Delomelanichon, opera del demonio in persona.

 Il finale mi deluse, ma i miei successivi studi no.
 Ho già parlato del Codice Voynich, maraviglioso tomo trovato a Frascati e purtroppo ora in America (ma almeno digitalizzato) che nessuno ha mai tradotto e le cui illustrazioni parlano di mondi ignoti, e dell'Hypnterotomachia Polyphili, il sogno d'amore di Polifilo, reale capolavoro di tipografia veneziana il cui significato, probabilmente esoterico è ancora indecifrato.

 E' giunto perciò il momento di dedicare il post a un autore, presunto almeno, molto particolare: il diavolo in persona.
 Al demonio sono stati attribuiti negli anni i più disparati tomi, tutti mysteriosamente bruciati (ma possiamo sempre cullarci nella speranza DanBrowniana che si trovino nei famosi sotterranei del Vaticano, dove, stando a libri e film dovrebbe esserci qualsiasi cosa dai vampiri agli alieni, anzi, i miei complimenti ai preti che sarebbero riusciti a scavare dei sotterranei in una città dove la metro C non riesce a vedere la luce). Eppure, qualcosa sarebbe effettivamente sopravvissuto ai secoli.
 Cosa? Andiamo a scoprirlo!

GIUSEPPE TARTINI:

 Tartini era un compositore e violinista di natali istriani che visse la sua vita principalmente a Padova.
 
 Ebbe una giovinezza abbastanza tumultuosa che culminò in un matrimonio dai tratti romanzeschi. Si innamorò ricambiato della nipote di un cardinale, la sposò di nascosto, ma quando vennero scoperti scoppiò il finimondo: fanciulla chiusa in convento e lui costretto alla fuga.

 L'episodio comunque ebbe un effetto benevolo sul suo carattere e la sua carriera: iniziò a suonare il violino e divenne più tranquillo. Nel frattempo anche il cardinale si dava una calmata e lo faceva recuperare per riconsegnarlo alla moglie. Il culmine della sua carriera lo raggiunse rimanendo tre anni alla corte praghese, ma non è questo il motivo per cui appare in questo elenco.

 Giuseppe Tartini infatti fu protagonista di una curiosa vicenda: un aneddoto racconta infatti che una sua complessa composizione conosciuta come "Trillo del diavolo" gli fosse stata ispirata in sogno dal demonio stesso.

 Secondo la leggenda, il compositore sognò il diavolo pronto a esaudire ogni suo desiderio. 

Incuriosito, il musicista gli diede da suonare il proprio violino e il demonio in persona intonò una musica particolarissima e meravigliosa. Al suo risveglio Tartini che la ricordava confusamente provò a metterla per iscritto, ma il risultato, a suo dire, era niente in confronto alla magnificenza del sogno.
 La leggenda ebbe il suo apice quando si incontrò con un altro musicista ritenuto toccato dalla buona o cattiva grazia del signore degli inferi: Niccolò Paganini, su cui giravano dicerie oscure. Si diceva che suonasse così bene perché aveva stipulato un patto col diavolo in persona.
 Com'è come non è, potete ascoltare "Il trillo del diavolo" suonato da Uto Ughi nel video.




LETTERA DEL DIAVOLO:

 E' in realtà la pietra dello scandalo da cui è nata l'idea di questo post. 
Qualche giorno fa il Corriere della Sera aveva rispolverato in un articolo questa storia siciliana raccontata a grandi linee anche nel romanzo  "Il Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa.

 La vicenda riguardò infatti una sua antenata: Isabella Lampedusa, ai voti Suor Maria Crocefissa (nel romanzo la beata Corbera).
  La storia della suora è ai limiti del leggendario: di famiglia ricca desiderò farsi suora sin da bambina e il papà le fece costruire un monastero tutto per lei. Lì, crescendo, iniziò a essere colta da varie crisi mistiche che andavano dall'avere visioni dei santi e della Madonna, a ricevere segni sul corpo (una grossa croce sul petto, pare) e anche una serie di incontri col demonio che sperava, inutilmente, di tentarla.
 Una delle varie volte che lo incontrò, il diavolo cercò di farle scrivere una missiva contro Dio, ma senza successo. 
 La scrisse allora si suo pugno in un linguaggio ignoto a noi esseri umani per fargliela solo firmare (poi dici che i bancari non hanno qualcosa di demoniaco), ma la ragazza, saggiamente, non capendo cosa c'era scritto e comunque non fidandosi del diavolo, scrisse solo "ohimè".
 Tra un viaggio all'inferno per placare i dolori delle anime dannate e le visite della Santa Inquisizione che non vedevano il suo misticismo di buon occhio, la sua vita venne trascritta su un libro al cui interno venne anche infilata la presunta lettera del demonio. Mai tradotta, è conservata nel monastero di Palma di Montechiaro (o quella è una copia, non sono riuscita a trovare info al riguardo).
 In ogni caso, potete ammirarla nella foto.


CODEX GIGAS:

La terza presunta opera diabolica dovrebbe essere nientepopodimeno che il più grande manoscritto al mondo: il Codex Gigas.

 Pesante una settantina di chili, contiene ben 5 libri tra cui:

- Una Bibbia completa. (Non voglio addentrarmi nella palese ovvietà che forse il diavolo non dovrebbe essere in grado di trascrivere testi sacri).
- Una storia degli ebrei di Tito Flavio Giuseppe, un curioso storico e militare romano di origine ebraica.
- Una Storia Universale di Isidoro di Siviglia, scrittore e vescovo cristiano spagnolo del VII sec. D. C.
- Una serie di considerazioni mediche.
- Un trattato di storia locale, Cronache Boeme, dello storico Cosmas di Praga.

 Le origini del manoscritto non sono molto note, ma probabilmente era già stato completato alla fine del 1200 quando passò da un piccolo e misconosciuto monastero ceco, Podlazice, a quello di Brevnov, più importante e vicino alla capitale. 
La miniatura incriminata
 Lì rimase finché gli svedesi nel 1500 lo portarono via per poi entrare a far parte della collezione della regina Cristina di Svezia finché non venne donato alla Biblioteca nazionale svedese.
 La sua grandezza, la magnificenza, l'enorme dispendio di risorse e lavoro, una firma probabilmente errata, ma soprattutto l'inconsueta miniatura a piena pagina del demonio che vi appare seguita immediatamente da un breve testo per l'esorcismo dagli spiriti maligni, hanno cospirato affinché una leggenda nera ammantasse il codice.
 La miniatura è secondo gli studiosi inconsueta per molti versi: la figura demoniaca è insolitamente grande e la postura, nonché le fattezze umanoidi risentono degli influssi dei trattati di medicina araba che però, non si capisce bene come possano essere entrati nell'immaginario del miniaturista che si è cimentato nell'opera.
 In ogni caso, cosa dice la leggenda? Che questo manoscritto fu terminato in una notte da un monaco che per vari motivi avrebbe promesso l'impossibile impresa. 
 Alcuni dicono che avesse infranto i voti e dovesse farsi perdonare, altri che lo facesse per la gloria, insomma tutte motivazioni che lo spinsero a contrarre un patto col demonio che lo scrisse al suo posto e lo miniò già che c'era, immortalandosi così a piena pagina.
 Lasciate stare la pagina di wikipedia e fidatevi delle molto più precise e dense informazioni che la Biblioteca nazionale svedese mette (in inglese) a nostra disposizione, assieme al codice digitalizzato.

 Potete trovare tutto al link ------------>http://www.kb.se/codex-gigas/eng/highlights/


KEPLERO, FIGLIO DEGENERE:

 Per completare questo elenco, ho deciso di infilare un saggio molto interessante che è arrivato ultimamente a lavoro: "Il figlio della strega" di Paolo Aldo Rossi e Marco Ghione ed. VirtuosaMente.

L'opera racconta una storia poco conosciuta della vita del buon Keplero che potrebbe a ragione conquistarsi la palma di figlio più degenere della storia ever.
 La mamma dell'astronomo era infatti una piccola signora dal carattere non molto amabile che si era procurata più di un nemico nel paese in cui viveva. 
 Codesti nemici (tra cui tale Ursula, molto molto agguerrita) colsero la palla al balzo quando cominciò a circolare un libro non pubblicato ufficialmente del suo pargolo "Somnium"

 Si trattava di una storia allegorica in cui un giovane figlio di una strega veniva iniziato all'astronomia da queste magiche donne.

 Peccato fossimo all'inizio del 1600, epoca ancora di Santa Inquisizione. I nemici della madre di Keplero ebbero gioco abbastanza facile ad accusare la signora di stregoneria allertando le autorità (per la serie, la storia che i vicini di casa possono essere i tuoi peggiori aguzzini è vecchia come l'esistenza degli agglomerati urbani).

 La coriacea anziana rimase sotto processo per sei anni, venne imprigionata e torturata, e il figlio passò gran parte di quegli anni a cercare ogni appiglio per ottenerne l'assoluzione, dalla difesa strenua in tribunale alle pressioni di amici potenti.
 Infine ce la fece, ma non vorrei sapere cosa deve aver passato Keplero una volta tra le mani della madre. 
 Nel libro potete trovare il "Somnium", alcune lettere, documentazione e una ricostruzione scrupolosa della storia che sembra romanzesca e invece è tutta vera.

 E in conclusione, annuncio presto un post sulle streghe! Come avevo scritto in passato l'inizio dell'estate concilia sempre il mio lato gotico, non so perché!


lunedì 23 maggio 2016

"Il magico potere del riordino" di Marie Kondo: una grande intuizione politica sacrificata sull'altare della sciuraggine. Se potessimo davvero controllare le nostre pulsioni all'accumulo, saremmo in grado di cambiare il mondo.

Sono mesi che ormai un best seller impera nelle classifiche di vendita per motivi di difficile comprensione: "Il magico potere del riordino" di Marie Kondo, detta anche Konmari.

Questa giapponese dall'età indefinibile (dai 18 ai 38 anni), sorridente e rilassata come se fosse appena uscita da una settimana alle terme, è invece una sorta di stakanov del riordino, così abnegata alla causa da far quasi spavento.

 Prima di leggere questo libretto, per pura curiosità, ero abbastanza certa che si trattasse di un sistema giapponese per sistemare le cose che teniamo incianfrusagliate a casa.
 Basta entrare da Muji, la catena di casalinghi nipponica, per rendersi conto che nelle case giapponesi tutto debba essere incolore, inodore, smussato e possibilmente piccolo, inquietante, ma vantaggioso per chi possiede stanze sempre più piccole.

  In confronto al minimalismo del sol levante, quello svedese by Ikea sfiora azzardi alla Almodovar.

 Ecco, no, leggendolo, ho scoperto di non averci preso per niente e, anche per questo, il mistero per molte pagine si è infittito.
 Konmari infatti non ha scritto un manuale su come mettere a posto le cose in casa, ma, piuttosto, una sorta di autobiografia sul suo rapporto con l'ordine e disordine sin dall'infanzia.
  Nelle prime pagine sembra di essere precipitati in un romanzo di Banana Yoshimoto prima maniera: Marie ci racconta infatti della sua infanzia surreale.
 Lei, seconda di tre figli, vive una vita pacifica, ma ben presto, grazie alle riviste femminili che sua madre compra regolarmente (non sospettando neanche lontanamente cosa stia per innescare) scopre la magia delle case da copertina.

 Sapete quelle case che siamo convinti esistano solo nelle riviste di design? 

 Pulite come ospedali giapponesi, luminosissime e perennemente abitate da piante e fiori stupendi e rigogliosi (ma mai di plastica), senza una briciola fuori posto, inamidate come se non le avesse mai toccate nessuno, neanche l'arredatore di interni che le ha messe lì?
 Ecco, Marie inizia a sognare case così, perciò, sin da bambina mette forsennatamente in ordine i luoghi dove si trova: casa, dove costruisce finti recipienti dove infilare le cose per categorie, e scuola, dove salta la ricreazione per riordinare scaffali e libri.

 La gioia irresistibile che innesca in lei vedere i suoi luoghi in ordine, è pari solo alla frustrazione che le crea ritrovarseli in disordine dopo due giorni. Ma com'è possibile?? Perché accade??

 Anni di duro allenamento, di frustrazioni familiari (per la sua famiglia, non per lei), di risistemazioni non richieste delle stanze dei fratelli e di decine di oggetti dei parenti buttati di nascosto (fino alla tragica scoperta e all'altrettanto tragico divieto di riordinare), fino al giorno in cui appare all'orizzonte il libro che le cambierà la vita: "L'arte di buttare" di Nagisa Tatsumi.

Illuminata, capirà che non c'è ordine senza una selezione preventiva di cose è importante per noi e di cosa non lo è.

 Ditemi se non sembra la trama di un manga.
 E invece è tutto vero.

Cosa ha reso questo libro un successo allora? In realtà c'è un motivo abbastanza evidente che rende accettabili persino le derive panteistiche che invitano a ringraziare i calzini per il loro servizio e a non stropicciare le maglie perché si offendono e insomma non se lo meritano.

 L'idea di fondo, infatti, è tanto semplice quanto fortissima: se non capiamo quello che è davvero importante per noi, continueremo ad accumulare cose inutili.

Il plus lo dà l'idea che l'accumulo casalingo corrisponda esattamente ad un accumulo di cose inutili all'interno della nostra esistenza: relazioni, hobby che non ci interessano, amicizie che non lo sono più, vestiario che non ci piace, soprammobili osceni. Tutto cospira per farci vivere una vita che non corrisponde a quella che immaginiamo per noi.

 Certe volte l'idea non è niente di spettacolare, ma lo diventa quando coglie nel segno: non ci sentiamo tutti un po' insoddisfatti?
 E non è la più allettante delle magie pensare che esista un metodo che ci consente con efficacia di mettere ordine nella nostra esistenza portandoci a godere appieno di ciò che già abbiamo?
 Perché è questo che in realtà promette il metodo Konmari.

 E come possiamo non fidarci del viso rilassato di una giapponese che nonostante passi la vita a riordinare sembra la più felice delle ragazze?

 Eppure.
 C'è qualcosa che non torna. Mentre le pagine scorrono, c'è come un'enorme omissione.
 Ok, l'accumulo compulsivo, anche se non patologico a livello di "sepolti in casa" è un grande problema del nostro tempo ed effettivamente intasa le nostre esistenze a livelli tossici.
 Il punto è: perché siamo spinti ad accumulare?
 Konmari ha inventato un metodo che spiega come gestire il problema, ma non indaga le cause. Ed è qui la grande falla nel sistema.

 Se Marie Kondo fosse stata meno concentrata a spiegarci che dovremmo aspirare a uno "stile di vita femminile" e che girare sciatta per casa non aiuta autostima e ordine, se insomma non avesse collegato il riordino principalmente a una sorta di vocazione alla femminilità, questo libro avrebbe potuto essere un grandioso manifesto politico.

 Noi accumuliamo perché siamo immersi in un gigantesco sistema consumistico.

 Il fatto che questo manualetto sia farina del sacco di una giapponese, ossia di un'abitante di uno dei paesi più immersi in un sistema di consumo continuo e vorticoso, non è affatto casuale.
 Il magico potere del riordino, la capacità di distinguere quello che è importante da quello che non lo è, avrebbe potuto, con più consapevolezza e meno sciuraggine, essere un'interessante metodologia non violenta, accessibile a tutti e dolce, diciamo, per combattere il sistema economico.

 Se tutti noi diventiamo capaci di gestire la nostra propensione all'accumulo e al consumo, se siamo davvero in grado di selezionare solo ciò che riteniamo essenziale per noi (e che varia da persona a persona, in questo senso è non violento, perché non impone una selezione dall'alto, ma personale), diventiamo improvvisamente padroni di una catena della quale, al momento, siamo spettatori facilmente manipolabili.
 Questo avrebbe potuto essere il magico potere del riordino in mano a una Konmari  consapevole delle sue potenzialità. L'intuizione era giusta, peccato concentrarsi, come dicono appunto gli orientali sul dito e non sulla luna.

 Cara Konmari che non mi leggerai mai, sappi che se usassi un decimo degli sforzi che investi nello spiegare come si piegano i calzini e le magliette, per selezionare meglio le vere ragioni del successo del tuo manuale, potresti diventare una vera rivoluzionaria, di quelle che cambiano il pianeta.
 Invece di finire all'ospedale per "eccesso di riordino", prenditi il tuo tempo e leggi Naomi Klein e ne riparliamo.

domenica 22 maggio 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Crossover".

E mentre voi bailate e sbevazzate, io mi sono fatta prendere dai sensi di colpa per i troppi post saltati e ho pensato di postarvi la vignetta del fine settimana (e forse domani, nella tristerrima sera della domenica mettere un post scritto).
 Alcuni di voi avranno sentito parlare di crossover, altri sapranno certamente cos'è, altri ancora stanno per scoprirlo grazie all'esempio portato dalle due gentili donzelle apparse oggi.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Crossover"!


giovedì 19 maggio 2016

Il fumettoso resoconto della mia visita al Salone del Libro di Torino 2016! Begli incontri, nefanda disorganizzazione, raffreddore imperante e tanti libri (ovviamente)!

E dopo molto disegnare (e praticamente mezza della terza serie di "Downton Abbey") ecco a voi il fumettoso riassunto della mia sortita al Salone del libro di Torino sabato scorso.
 Sono stata lì sette ore e mi sono volate, senza contare che siccome stavo male sono tornata a casa nella devastazione assoluta. L'anno prossimo, soldi e turni permettendo, tenterò di andarci due giorni, non sono più un'adolescente, sigh.
 Vabbeh, non la tiro tanto per le lunghe in questo fumetto è insita tutta la disorganizzazione del mio animo e le sue nefande conseguenze. Ma, fortunatamente, ci sono anche i begli incontri fatti quest'anno, che possano essercene sempre di nuovi! Trinc! (Tutti quei brindisi formali nella tenuta di Downton Abbey mi hanno traviata).
 "Visita al salone di Torino 2016", un nefando fumetto!











Ed infine: il bottino!!



Ps mi scuso per la qualità delle foto nel fumetto, ma non ho capito perché mi si sono spixellate riducendole :(

martedì 17 maggio 2016

Il senso della discriminazione per Chimananda Ngozi Adichie in "Americanah". Perché le minoranze non si sentono tutte sulla stessa barca? Una riflessione sul razzismo, l'orgoglio, un malinteso senso di superiorità e il nostro unico comune tiranno.

Avevo sentito parlare lungamente e molto bene di Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana trapiantata in america e poi di nuovo in Nigeria.
 Non ho mai letto molta narrativa africana original e la considero una grossa lacuna, perciò per una volta che me ne sono ricordata (visto che ho una wishlist, ma come tutte le persone disorganizzate, è appuntata solo nella mia testa e facile all'oblio), ho preso in biblioteca "Americanah", un sontuoso (sontuoso è la parola che più mi pare si avvicini alla scrittura della Adichie) libro su uno di quegli amori che non finisco, fanno dei giri immensi e poi ritornano.

  Per la serie, Venditti non lo sa, ma potrebbe avere un mercato anche in Africa.
 L'autrice offre un interessante scorcio (spacciato per motivi misteriosi nella quarta di copertina come una sorta di saga familiare) di una giovinezza molto speciale, quella di Ifemelu brillante studentessa nigeriana, innamorata e fidanzata sin da giovane con un suo coetaneo altrettanto brillante e di buona famiglia che vive molto felicemente la sua adolescenza in quel di Lagos, Nigeria.
 Probabilmente anche per il ceto sociale abbastanza elevato dei personaggi e sicuramente per una scelta stilistica, l'elemento folklore rimane sullo sfondo risultando una storia estremamente familiare nonostante la mania nigeriana dell'infilare cocco in ogni piatto, dolce o salato che sia (ecco un libro che non mi ha fatto venire voglia di assaggiare la cucina locale).

 I giovani nigeriani benestanti non hanno una vita molto diversa dai loro coetanei europei, o meglio ce l'hanno, ma le aspirazioni, le dinamiche sociali, le amicizie e gli amori, sembrano, almeno sulla carta, molto più simili, di quelle di altre società esotiche, Giappone o Cina per dire.
L'autrice
 La trama prende le mosse quasi dal termine della storia andando a ritroso con un lungo flashback: Ifemelu è ormai una donna over 30 che vive facendo la blogger (quindi, speranza, qualcuno ce la fa) negli Stati Uniti.
   La sua grande intuizione che poi è il vero filo conduttore dell'intero libro, molto più dell'esile storia d'amore, è l'aver creato uno spazio virtuale dove discutere del razzismo in America (facendo anche confronti dell'Europa).

 Non tanto il razzismo evidente che vede la polizia statunitense saltare come un picchio alla vista di un giovane di colore perché potenzialmente sospetto il decuplo di un suo coetaneo bianco, ma, quello di una supposta supremazia culturale e sociale bianca, ben più strisciante. 
 Quella, che, per dire,  costringe le donne afroamericane a stirare con dannosi prodotti chimici i loro splendidi capelli (perché nessuno ti assumerà se sei troppo afro), che ti rende, nella percezione comune automaticamente più selvaggia, erotica e in un certo qual senso disponibile.
 Altro fattore di enorme interesse è la diversa percezione degli autoctoni americani verso gli afroamericani e gli africani original (diversa percezione che hanno in realtà tra loro anche i due gruppi, spesso diffidenti tra loro).

  Gli afroamericani sono nati e cresciuti in un contesto di discriminazione che li ha resi automaticamente guardinghi e vittime di un sistema, mentre verso chi giunge da esterno, da un luogo, soprattutto, dove questa discriminazione non esiste (ma mi ha stupito scoprire che i nordafricani discriminano gli africani subsahariani per via della loro carnagione scura) l'atteggiamento è diverso, come se essi godessero di uno speciale status, assai più eguale.

 Come se il rapporto di potere fosse bilanciato automaticamente in modo diverso.
Oltre le storie d'amore che la protagonista, (immagino ispirata in modo non velatamente autobiografico alla scrittrice), ha, oltre il filone familiare che riguarda in realtà una zia nigeriana trasferitasi col figlio piccolissimo negli Usa, oltre il mondo snob e intellettuale delle università americane, il vero nodo di questo libro non è né l'amore né la famiglia, ma il razzismo nell'America contemporanea visto da un outsider.

 Anche per questo, quello che in verità mi ha colpito di più è come l'autrice non abbia la minima percezione del fatto che il razzismo sia solo una delle svariate forme (ovviamente con peculiarità, ragioni e conseguenze proprie) di un problema che riguarda tutte le minoranze: il rigetto che ha la maggioranza verso ciò che considera diverso e perciò destabilizzante verso l'ordine.
 La Adichie considera, da una parte ovviamente a ragione, ma da un'altra completamente a torto, il percorso del razzismo americano verso gli afroamericani una discriminazione che nulla ha a che spartite con le altre (ogni tanto cita i latinos random).
La cosa mi ha estremamente colpito, soprattutto perché nella parte finale propone al lettore una sorta di questionario in cui fa varie domande, tra cui:

 "Se fate parte di un circolo prestigioso, vi chiedete mai se la vostra razza può rendervi difficile l'ammissione?
Temete che i vostri figli non abbiano libri e materiale didattico che rappresentino persone della vostra razza?
 Se accendete la tv su un canale generalista o aprite la prima pagina di un giornale generalista, vi aspettate di trovare soprattutto persone di un'altra razza?
 Se avete risultati positivi in una certa situazione, vi aspettate di essere additati come esempio per la vostra raazza? O di essere definiti "diversi" rispetto alla maggioranza delle persone come voi?
 Se avete bisogno di un aiuto legale o medico, temete che la vostra razza risulti un fattore negativo?"

La cosa migliore del libro sono i finti post del blog
di Ifemelu: "Razzabuglio" che parlano di una serie
di questioni legate al razzismo in America, almeno
a me, ignote. Un post interessantissimo è su Obama
(nella parte finale si parla molto della sua candidatura):
 "Obama può vincere solo se rimane il Negro Magico".
Cos'è il negro magico? Se leggete il libro, scoprirete
che è esattamente l'immagine che Hollywood passa
degli afroamericani nei film.
 Le mie risposte ovviamente erano no. Non sono mai stata discriminata per il colore della pelle. ma potevano essere sì se a "pelle" si sostituiva "orientamento sessuale"
 Mi sono domandata perciò, da minoranza a minoranza, se questa riflessione fosse effettivamente presente nell'ambito di chi è discriminato per motivi razziali. Me lo sono domandata anche in nome di quella cosa che sbalordisce spesso molti: come può una persona di colore in America essere contro i matrimoni gay?
 Come può chi è vittima di discriminazione essere contro altre vittime (peraltro perseguitate dallo stesso sistema di potere)?
 La mia risposta, leggendo il libro dell'Adichie, ottimo dal punto di vista della scrittura, è che questa riflessione manchi totalmente, manca, effetti, la sensazione di essere prosaicamente tutti sulla stessa barca e di avere un unico nemico, quello che Tim Robbins aveva ben inquadrato, "La tirannia della mente ottusa".

  C'è chi è appartiene a una minoranza meno visibile (gli omosessuali appunto) e quindi ha cercato di percorrere la storia nel modo più segreto possibile, e chi, per ragioni evidenti, come gli afroamericani, sono state un bersaglio visibile e ben più aggredibile.
 La matrice però, è sempre la stessa: il desiderio perverso di individuare una parte più debole, il capro espiatorio di una società, quello che si carica, per il sollievo della maggioranza, del male contenuto nel mondo. E' la via più sciocca e potente per non occuparsi mai davvero dei lividi del mondo, quelli veri.

 Ho trovato, in questo libro splendido eh, degno di essere letto perché scritto in modo superbo, coinvolgente e profondamente interessante, questa mancanza di riflessione una lacuna davvero imperdonabile.
 Come può un personaggio che scrive per anni un blog sulla discriminazione, che si sforza di conoscere un altro mondo, che si confronta e riflette, non parlare chiaramente del punto focale della questione?
 In verità, una mezza idea sul perché questo accada, ce l'ho e secondo me è molto chiara nella parte più riuscita del libro, quella in cui Ifemelu, tramite il suo fidanzato Blaine, affascinante appartenente alla cerchia universitaria più uptown del mondo, entra in contatto con l'intellighenzia americana, quella casta di eletti che si frequentano solo tra loro, si capiscono solo tra loro e si considerano, soprattutto, tremila metri sopra tutti gli altri.

 Gente che: il mio analista, il mio agente letterario, il premio Nobel per cui faccio l'assistente, il regista per cui sto girando, il film che sto producendo.

 In questa crema, Ifemelu fa la sua figura, ma ha anche una fiera antagonista: Shan, la bellissima e straordinaria sorella di Blaine, così descritta:

 "Quando Shan entrava in una stanza, tutta l'aria scompariva. Non respirava profondamente; non ne aveva bisogno. L'aria fluttuava semplicemente verso di lei, attratta dalla sua autorità naturale, finché non ce n'era più per gli altri. [...]
 Aveva l'aria di una persona che era stata in qualche modo prescelta. Qualche divinità le aveva poggiato sopra la sua bacchetta magica; se lei faceva cose ordinarie, diventavano straordinarie."

 Si capisce, tra le righe, che Ifemelu non la sopporta non tanto perché Shan è una creatura catalizzatrice volontaria (e involontaria) di attenzioni ed eventi eccezionali, quanto perché non le ruba la scena. Non è più lei la persona eccezionale della situazione.
Ifemelu entra a far parte dell'esclusiva élite
 universitaria di Princeton
 Il fastidio che Shan le provoca è interessante perché lasciato in sottotraccia, quella tipica sottotraccia che vorremmo tutti non si notasse quando siamo invidiosi a morte di qualcuno ma cerchiamo disperatamente di fingerci superiori.
 Oh, io della Adichie non so molto, ma a me sembrano pennellate troppo precise per non vederci un fondo di autobiografia, perciò credo che il vero motivo della mancanza della suddetta riflessione sia il rifiuto di mostrarsi deboli.
 Tutto in questo libro grida fierezza: la scrittura, l'orgoglio e un'autostima piuttosto imponente della protagonista, lo spirito critico mai domato (e mai soggetto a dubbi) che accompagna il progredire della sua esistenza.
 Per paradosso temo che la Adichie sia caduta nello stesso peccato di cui incolpa gli altri: non ha voluto mettere in comune il proprio stato di minorità assieme a quello degli altri perché non si sente come loro. Si sente meglio di loro.

 Detto ciò, questo libro stramerita di essere letto, perché è scritto benissimo e solo un libro davvero bello può dare adito a tutte queste riflessioni.
Questo è il mio pensiero dopo averlo lasciato decantare un po', se lo avete letto, fatemi sapere se ho visto i draghi o pensate ci sia un fondo di verità!

lunedì 16 maggio 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Sagre"!

 Infinito pardon per aver saltato due giorni di seguito, ma sabato sono stata al Salone del Libro di Torino, dove ho incontrato tante belle persone, visto tante belle cose, ammassato tanti bei libri, ma sono tornata a casa nella devastazione e senza voce per il raffreddore (se volete vedere le foto c'è la gallery su fb!). Ieri il lavoro ha fatto il resto.
 Ecco perciò a voi la vignetta che doveva apparire ieri e spero in serata il post del giorno! Riuscirò a fà uscì 'sta recensione di "Americanah"!
 Forza e coraggio per tutti noi che è lunedì: Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Sagre"!



venerdì 13 maggio 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Essere una librosaura".

E domani si va al salone del libro di Torino! Con un po' di fortuna riuscirò a fare adeguato stalking (benevolo s'intende) a Maurizio De Giovanni, non vedo l'ora!
 Causa preparativi e dolce metà malata e bisognosa d'accudimento, non sono riuscita a finire il post che stavo preparando per oggi (probabilmente apparità domenica), ma avevo in serbo una sugosa vignetta.
 Le protagoniste sono tre di quelle odierne sedicenni che sembrano già ventottenni, perfettamente truccate, tirate a lucido e sorridentissime che ormai sciamano per la libreria in perenne e vorace ricerca del loro cibo favorito: gli young adult scritti da loro coetanee su wattpad e poi passati in libreria a furor di popolo.
 Sono talmente tanti che ormai la sezione a loro dedicata trabocca e titoli sempre nuovi ci confondono (oh, se sapete se davvero è in giro questo "Baci nell'ombra" fate un fischio).
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Essere una librosaura"!



mercoledì 11 maggio 2016

Piccole recensioni tra amici! Assurdi poliziotteschi napoletani, cavalli di ritorno, night club cinesi e Qiu Xiaolong e l'ennesima delusione di Banana Yoshimoto (perché?? Sigh).

Chi segue regolarmente il blog sa che il simbolo delle Piccole
recensioni tra amici è l'incantevole Creamy a causa della
fissazione che hanno molti blogger nel recensire i libri
distribuendo stellette
Allora, ricapitolando, ho ancora in coda la recensione di "Americanah" (tra un po' mi scade indegnamente anche il prestito in biblioteca), il fumetto di Marie Kondo e, se seguite fb, sto diventando una persona tecnologica che tenta persino di capire il magico mondo delle gif (per ora ho imparato a scrivere sopra quelle che esistono, imparerò pure a farle spero).

 In tutto questo leggo e accumulo le solite letture di paranza che abbisognano di un piccole recensioni tra amici degno di questo nome.

 Di cui sotto potete ammirare due gialli e sigh la recensione dell'ultimo inutile libro di Banana Yoshimoto. In realtà proprio ieri, mi pare, su La Repubblica, ne ho letta una assai favorevole che vedeva tra le righe della nostra amata giapponese cose che, francamente, non mi pare ci siano.
 Ma, de gustibus non dispudandum est.
 Detto ciò, buone recensioni!


IL PRINCIPE ROSSO di Qiu Xiaolong ed. Marsilio:

 E' la nuova avventura del poliziotto Chen Cao che, integerrimo, tenta di trovare giustizia in una labirintica Cina contemporanea.

  Come ho detto in varie recensioni precedenti, nonostante la qualità dei gialli, ciò che rende davvero degni di lettura i libri di Qiu Xiaolong è la cornice in cui sono ambientati: un mondo difficilmente interpretabile e, a tratti, incomprensibile ai limiti del fantascientifico.

  La Cina odierna ha avuto infatti la straordinaria capacità di innestare un sistema economico capitalista in una sorta di oligarchia che usa simboli, veterostruttura partitica, linguaggio e sì, anche valori da un certo punto di vista, del vecchio sistema comunista.

 Posso assicurarvi che il risultato, appare se non altro da questi libri, è una somma micidiale del peggio dell'uno e del peggio dell'altro, il tutto nascosto dietro una facciata quieta e sorridente.
  Forse anche per questo, ho guardato la puntata del programma di Severgnini "L'erba del vicino" che metteva a confronto Italia e Cina con un certo sconcerto: Xiaolong forse non restituisce un ritratto complessivo ottimale del suo paese d'origine (neanche "Gomorra" alla fine parla dell'Italia in toto), ma se avete visto anche voi la trasmissione sembrava uscita dal MinCulPop cinese.

 Detto ciò, questo nuovo libro non ha una grande trama a livello giallistico. O meglio ce l'ha, ma è estremamente laboriosa, anche per la scelta stilistica operata dall'autore, interessante per un romanzo giallo, ma assai pericolosa: il protagonista sa di essere al centro di un intrigo, ma non sa perché e deve capirlo.
 Al cinema è un meccanismo che funziona alla grandissima, su carta bisogna stare molto attenti perché perdere il filo per il lettore è un attimo. 
 E così, devo ammettere, è successo a me: ad un certo punto non capivo più a chi dovessimo dare i resti e solo sul finale finale ho capito qualcosina. 
 Tuttavia, anche se la tensione non è la solita, non mancano i soliti elementi storici e sociali interessantissimi: la scoperta dell'opera lirica cinese, i sistemi sottili e sordidi per far fuori funzionari scomodi, ma inattaccabili, il mondo dei night club (mitico il momento in cui si scopre che le dark room con uomini di colore si chiamano "Obama club") e il decadimento generale di un mondo che è passato dal comunismo assoluto a chiedere enormi somme di denaro anche solo per mantenere una tomba in stato decoroso.
 Mettetelo da parte per l'estate, vi servirà.


IL GIARDINO SEGRETO di Banana Yoshimoto ed. Feltrinelli:

 Penso sarà il trentamilionesimo post in cui cerco di infilare la recensione di questa ennesima, dimenticabile, prova della nostra ormai fu Banana Yoshimoto.
 Il volumetto nulla è che l'incomprensibile terzo libro di una saga che non si comprende bene cosa la renda tale.

 La protagonista è infatti sempre la stessa Shizukuishi una ragazza vissuta tra i monti con la nonna a coltivare piante in grado di avere influssi benefici sulle persone e che, al momento di amore geriatrico della nonna, si ritrova sbattuta nella grande Tokyo dove, sostanzialmente, deve imparare a vivere.

 Penso che la cara Banana abbia riciclato l'idea da un suo vecchio racconto contenuto in "Lucertola" (una bella raccolta di racconti sottolineo, "Strana storia sulla sponda di un fiume" era considerevole): lì una ragazza aveva sempre vissuto in una comunità isolata sui monti gestita da una sorta di setta giapponese (i suoi libri sono pieni di strane sette, sarebbe bello leggere un saggio su questo fenomeno).

 Ad un certo punto, aveva deciso che basta, era il momento di andare nella grande città e lì aveva trovato lavoro e l'amore, nelle vesti di un ragazzo molto fragile in grado di costruire oggetti dotati di una qualche forma di potere energetico (creava oggettini che influenzavano benevolmente la vita delle persone).

 Nella nuova saga questo personaggio non è più il suo fidanzato, ma il suo datore di lavoro, un ragazzo dal fisico fragile e gay con un robusto compagno che va e viene dall'Italia (soprattutto da Torino, città magica per eccellenza).
  Bisogna dire che i momenti in cui i due interagiscono sono i migliori della serie, ma rimangono comunque molto deboli, come se, ripeto ogni volta, ormai avesse perso quel mordente un po' sinistro e rivoluzionario (nei confronti di una società molto rigida) che pervadeva le sue prime opere.

 In questo terzo libro, la relazione instaurata col giardiniere in procinto di divorzio nei primi due libri, finisce in vacca a causa di un antico amore. Ne segue un viaggio.
 E' meglio del secondo tomo, ma tocca anche dire che difficilmente poteva fare di peggio perché il livello era davvero davvero scadente, pessimo. C'erano momenti in cui la protagonista parlava col televisore che va bene la visione panteistica della vita, ma c'è un limite a tutto.
 Continuo a cascarci sperando in un colpo di coda alla "Kitchen", stupida me che non mi disilludo mai.


IL CAVALLO DI RITORNO di Beppe Lanzetta ed. Cento Autori:

 C'è un genere poco esplorato in Italia che è quello dell'assurdo totale.
 Il maggior esponente contemporaneo è indubbiamente Andrea Pinketts che unisce alla oggettiva follia delle trame, anche una forte sperimentazione stilistica e lessicale.
Manca ancora il post su Pinketts 
 Purtroppo, è il caso di dirlo, dopo di lui, il diluvio.
 Mi ha fatto perciò molto molto molto piacere scoprire che la serie di gialli del commissario Peppenella by Beppe Lanzetta, rientra perciò in questo filone a cui si dà ingiustamente poco spazio (suppongo per ragioni di marketing).

 Inizio a leggere questo romanzo con la convinzione di trovarmi dalle parti de "La squadra" e scopro che sono atterrata nel pianeta di Christopher Moore.

 Il commissario c'è, grasso, divoratore di kebab e tracannatore di birra, vedovo e provvisto di una figlia che non si augurerebbe al peggior nemico, circondato da collaboratori imbucati da onorevoli e proverbialmente incapaci.

 Il nemico c'è: Napoli stessa. Una città che si rifiuta ostinatamente di sottoporsi a qualsiasi regola, nel male e anche nel bene che può fare lo stato: per la serie, ok, un 150 anni fa avete cacciato i borboni, ci sono state due guerre mondiali, un referendum per la repubblica e svariati altri eventi degni di nota, ma noi non è che siamo stati mai convinti a rinunciare alla nostra città-stato.

 I coprimari latitano un po', come se questo primo libro fosse stato concepito per essere unico.

 La storia parte con una dose di sangue: due ragazzini di nome Diego entrano in casa di un vecchio custode intento in un rapporto omosessuale con un marchettaro arabo e nel tentativo di spaventarlo (per ritorsione) fanno un casino e lo ammazzano.
 Da quel momento in poi delirio is coming. I due Diego appartengono infatti a una banda chiamata "Banda della merda" formata da 87 adolescenti maschi tutti chiamati Diego e gestiti da un vecchio delinquente che usa la tecnica del "cavallo di ritorno".
 Ossia: io ti rubo una cosa e tu invece di denunciare il fatto ai carabinieri, paghi una sorta di piccolo riscatto per riaverla indietro. Se ti rifiuti, puoi dire addio a ciò che ti hanno rubato.
 Il punto è che si passa dal cavallo di ritorno per macchine di lusso a cavalli di ritorno per statue e monumenti: il comune di Napoli pagherà per riavere il Cristo Velato o la statua di Dante?
 E poi, c'entrano o non c'entrano questi 87 Diego con la scia di sangue che vede agire una sorta di serial killer in città, intento a lasciare cadaveri in ogni dove con dodici coltellate?

 Rifiuti tossici, malattie fulminanti, cognati ammalati, crociere disastrose, turchi con l'infarto, veri e propri uffici della camorra, anziane viziose, carusielli, custodi, traffici di statue, kebab, albanesi e infinite altre cose scorrono come un film di cui cerchi di capire disperatamente il bandolo.
 Il bandolo alla fine c'è e, bisogna ammettere che è la parte più debole della trama.
 Una delle regole del romanzo giallo è che l'assassino deve comparire, ma, per quanto apprezzi la teoria de "La promessa" di Durrenmatt (ossia che il caso possa governare i delitti in modo completamente casuale rendendo vano qualsiasi tentativo di arrivare alla scoperta dell'assassino con la logica), però, insomma, secondo me una soluzione molto più logica e apprezzabile di chi fosse il serial killer ci poteva essere (tanto che alla fine pensavo di averci azzeccato e il brusco passaggio di mano mi ha spiazzato, ma male).
 In ogni caso, che dire, un poliziottesco alla napoletana a tinte forti. 
 Consigliato, a chi non cerca gialli beneducati (e io ho già il secondo)!

E voi avete ne avete letto qualcuno? Vi intriga qualcosa? Commentate numerosi!

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