sabato 21 febbraio 2015

"Maledetti fumetti"! Storia di una censura e di una repressione made in Usa contro uno dei generi più interessanti del nostro tempo. Roghi, leggi, conservatori, pazzi, personaggi romanzeschi e aneddoti di un mondo nato dalla rivalsa e dalla fantasia!

Quando facevo più o meno la prima media, una rete locale del Lazio (che non era la celeberrima Super3, canale che mandava cartoni giapponesi a rotazione e che ho scoperto essere con sommo sconcerto solo locale, molti e molti anni dopo), aveva iniziato a mandare in onda "Ranma 1/2".
Tuttora non comprendo cosa turbasse mia madre 
 Avevo iniziato a vederlo distrattamente, ma poi mi ero appassionata al punto da fare una cosa per me inedita: recarmi in edicola e cercare un fumetto, che all'epoca, costava la somma di 3.500 lire, circa un terzo della paghetta settimanale di mio nonno.
 Mia madre, generalmente disinteressata alle mie sorti, si accorse di tale cartone/fumetto e impazzì. Decise che una trama in cui un tizio ogni volta che casca nell'acqua fredda diventa femmina, fosse qualcosa con insito un qualche germe della perversione e fece qualsiasi cosa per impedirmi di vederlo.
 Fu così che dovetti aspettare che venisse programmato su Tmc (considerata una rete più rispettabile) e cominciai a nascondere i fumetti, sebbene venissi regolarmente beccata a comprarli e rimproverata da mio padre, non tanto per il contenuto, quanto per il fatto che buttare la mia paghetta settimanale in quelle che ormai erano diventate 3 o 4 serie da collezionare (beccai la fine della serie di Dragon Ball e risparmiai un'estate intera privandomi di qualsiasi gelato o ghiottoneria per comprarmela tutta) non era una cosa sensata da fare.
 Si continuò così per svariati anni. Mia madre che gridava allo scandalo per il contenuto violento/ strambo dei cartoni animati giapponesi (quelli americani, rari, come i fumetti della Marvel a cui mi interessai per un periodo, erano invece ben visti) e mio padre che fino all'ultimo osteggiò il mio collezionismo, tanto che durante un trasloco ai tempi dell'università, impacchettò quasi tutti i miei beni  fumettari e non so bene che fine gli abbia fatto fare.
 Questo preambolo è per preparare adeguatamente il terreno ad un delizioso saggio edito dalla Tunuè, "Maledetti fumetti" by David Hajdu, sull'incredibile e a tratti intellettualmente e socialmente molto violenta, repressione di cui furono vittime i fumetti in America, dalla loro nascita fino più o meno agli anni '70.
 Una storia che, devo dire, ignoravo per la larghissima parte, pensando che qualcosa considerato fino a pochi anni fa, in Italia, appannaggio esclusivo di bambini e adolescenti, venisse percepito come innocuo (o al massimo osteggiato alla maniera dei miei genitori).
 Invece proprio perché sin dalla loro nascita, i fumetti, in America (perché in Giappone ad esempio la questione era assai diversa e benissimo raccontata in un fumetto che recensii tempo fa "Una vita ai margini" di Yoshihiro Tatsumi) passavano tra le mani della pargolanza, solerti genitori, prima dormienti e poi improvvisamente vigili alzarono un casino che in confronto la santa inquisizione era libertina. Ma andiamo con ordine.
 Come molti sanno, Yellow Kid è considerato il primo fumetto fumetto, nonostante la sua apparenza innocua di bambino vestito da un lenzuolo giallo, era in realtà non solo terribile, ma si accompagnava a una serie di ceffi che impersonavano le varie minoranze migranti negli Usa ai tempi: irlandesi, italiani, polacchi ecc. Nacque quindi spinto si potrebbe dire dallo spirito di rivalsa degli ultimi dell'epoca. Il fumetto infatti ben lungi dall'essere considerato arte, mirava spesso solo a produrre un quantitativo impressionante di materiale che i bambini compravano a pacchi, costando esso solo un decino.
Will Eisner nel 1970
 Torme di ragazzini li accumulavano come un tesoro e li scambiavano, garantendo vendite che toccavano le milioni di copie. In questo inizio felice e confuso fece i primi passi Will Eisner, uno dei primi fumettisti che successivamente disegnò storie per un pubblico più adulto, e che, proveniente da una famiglia non proprio ricca, si esercitava disegnando sulla carta del droghiere.
  Erano pioneristici tempi che videro fiorire aneddoti completamente assurdi.
 Come Joe Kubert disegnatore storico che a dieci anni prese la metropolitana, entrò in uno studio di fumetti e grazie al suo portfolio autarchico venne assunto immediatamente.
 O l'apparizione di Malcolm Wheeler-Nicholson assurdo personaggio romanzesco che mise su una delle primissime riviste antologiche di fumetti, "New Fun", un'idea semplice, ma fino a quel momento di scarso successo: pubblicava tutto il materiale che arrivava in redazione, spesso non pagandolo (tantissimi mandavano storie solo per il gusto di farlo o perché speravano di farsi notare). Costui, che dopo aver dato una potente spinta propulsiva al settore successivamente fallì, si presentava in redazione vestito da nobile di altri tempi con tanto di pellicciotto di castoro e raccontava storie favolose sul suo conto: era stato una spia in guerra, aveva avuto una storia con la cugina dello zar, era un eroe pluridecorato e molto altro. Mai confermato.
 Intanto i fumetti iniziarono a produrre i primi personaggi in grado di intaccare l'immaginario popolare.
 Apparve Superman. Primo supereroe in assoluto, poi successivamente tacciato di fascismo per aver messo in testa ai bambini idee di superomismo, era invece, udite udite, un'altra rivalsa del fronte migrante. Egli, (che peraltro aveva analogie messianiche con Gesù Cristo), proveniva da un altro pianeta e doveva adattarsi suo malgrado alle usanze terrestri. 
 Apparve Batman, successivamente tacciato di omosessualità (il tema è tuttora ricorrente e non è stato negato dai suoi inventori che hanno ambiguamente lasciato intendere che "Ciò che fanno Batman e Robin tra una vignetta e l'altra non ci riguarda").
 E poi apparve lei, la fantastica Wonder Woman, la cui storia è la più surreale di tutte.
Il suo creatore, William Moulton Marston, era uno psicologo protofemminista che l'aveva ideata col provocatorio intento di mettere in scena un personaggio femminile dai caratteri dominatori nei confronti di un maschile ansioso di essere dominato da donne bellissime, assai più intelligenti di loro e con una carica erotica ben in vista. I suoi disegni, infarciti di citazioni sadomaso (principali armi della pettoruta Wonder Woman erano "il lazo dorato" e "i braccialetti della sottomissione"), avevano il surreale pregio di non essere "solo" provocatori. Marston era abbastanza avanti e abbastanza folle da crederci.
Comunque, nato come medium quasi casuale e fuori controllo, il fumetto che ebbe un suo momento di gloria propagandistica durante la seconda guerra mondiale (contate ben 41 copertine dedicate allo sbeffeggiamento di Hitler), fu vittima di una folle caccia alle streghe nel secondo dopoguerra.
 La cosa, partita in sordina, da parte di alcuni pastori, zelanti professori e dalla chiesa cattolica, tutti in cerca di un colpevole per la crescente delinquenza giovanile (che in effetti cresceva, ma era delinquenza anche non rispettare il coprifuoco, considerando che si preparavano gli anni '60 era forse solo un segno del cambiamento dei tempi e dei costumi), montò in modo folle.
 Prima vennero i roghi di libri da parte di professori manipolatori, scout e intelligenti studenti carismatici sui 14-15 anni che scrivevano lettere a giornali in cerca di colpevoli sensazionalistici. Intere cittadine, spaventate da fumetti che in cerca di nuovi mercati erano passati dai supereroi all'horror/crime/pulp spinto (e intendo MOLTO spinto, con bambini assassini, donne decapitate, sangue, scene discinte di vario genere) organizzarono falò giganteschi di fumetti in quantità industriale. Sul momento ottennero un po' di cenere, ma i ragazzini divennero solo più determinati e curiosi.
Notiamo la gioia del rogo
 La situazione andò fuori controllo quando una delle case editrici più famose dell'epoca, guidate da Bill Gaines, chimico figlio dell'inventore della bibbia a fumetti, che aveva dato per primo l'impulso alla crime fiction a fumetti, pubblicò l'unica cosa che non doveva pubblicare: una vignetta in cui si diceva che Babbo Natale aveva DIVORZIATO dalla moglie.
 Fu la goccia che fece traboccare il vaso. C'erano già stati processi e leggi contro i fumetti, ma stavolta si montò un tale casino che la cosa assunse livelli nazionali, con psicologi pro e contro, con genitori furibondi che volevano proteggere le loro sante e innocenti creature dal terribile mondo dei fumetti, reo di deviarli e spingerli ad azioni inconsulte. Non mancò nessuno all'appello: la madre di provincia che istigò i ragazzini della contea a fare il bene rinunciando ai fumetti (la Costanza Miriano di turno a quanto pare è una costante della storia), lo psicologo in cerca di visibilità, tale Wertham, i terribili casi di cronaca riportati come un thriller: bambini impiccati, pargoli torturatori, fratellini omicidi. 
Bill Gaines che oltre ad essere uno dei primi
prosperi editori di fumetti, prima della disgrazia.
è stato probabilmente il nerd
dei fumetti  panciuto e barbuto primigenio
Tanto brigarono che il povero Gaines, nel tentativo di riparare al danno, fece involontariamente peggio: mise su una sorta di lega di case editrici indipendenti di fumetti (Topolino e co. non erano coinvolti nel caos perch considerati innocui). Si iniziò benissimo, si finì in modo allucinante.
 Guidata da un manipolo di reazionari, la lega ben presto finì per fare l'esatto contrario del motivo per cui era nata: invece di osteggiare il pregiudizio e la censura verso i fumetti, si dotò di un codice etico che neanche Torquemada.
 Era vietato fare qualsiasi cosa fosse considerato contro la morale comune dell'epoca. A presiedere tale follia venne chiamato tale Murphy che creò una task force di sciure laureate per passare al vaglio tutte le pubblicazioni a fumetti dell'epoca. Gaines ne uscì distrutto, ma la goccia che fece traboccare il vaso fu il giorno in cui Murphy si rifiutò di approvargli un fumetto perché prevedeva un personaggio di colore (un fumetto, sottolineiamo appunto contro il razzismo in salsa sci-fi). Gaines lo minacciò di denunciarlo per razzismo e vinse la battaglia, ma non la guerra: la sua casa editrice, stremata, rese le armi e continuò a pubblicare un solo titolo, trasformandolo in rivista, "Mad".
 "Mad", che prendeva satiricamente in giro la società e la cultura dell'epoca, prosperò oltre quella che sembrava la resa totale di una controcultura popolare, ma il danno ad un'intera generazione di fumettisti era stato fatto. Si era passati dalla totale libertà e fantasia, a rigidezze morali senza senso che obbligavano a vestire con gonnelloni orrendi le regine della giungla che saltavano sulle liane. Molti di loro cambiarono mestiere, altri migrarono verso altre testate, come Playboy, o verso il mondo della pubblicità, ma era finita un'epoca. 
 Il libro è scritto bene, non annoia ed è una ghiottoneria per gli appassionati di fumetti.
 Inoltre, ammetto che per lunghi tratti mi ha dato una sensazione straniante, come se fosse una sorta di scherzo,.Avete presente quando, per dimostrarvi l'assurdità di qualcosa viene usato un esempio folle? Tipo "Pensate se domani dovessimo discriminare tutte le persone coi capelli biondi".
 Ecco, questo libro in alcuni momenti andava incontro a ragionamenti tanto surreali da parte dei detrattori dei fumetti, ad azioni così folli, a illazioni talmente assurde, da sembrare un gioco stilistico atto a dimostrare la follia conservatrice del genere umano. E invece è tutto vero.
Altro motivo per cui leggerlo: dopo la storia di Charlie Hebdo leggo ovunque commenti a sproposito su cosa possa e non possa essere vignettato per il buon gusto generalista. Ecco date un'occhiata alle storie che leggevano i bambini di 12 anni negli anni '50 o anche solo alle pagine di Topolino collezionate dalla fantastica pagina di fb "Paperino e altri infami".
  E facciamoci un po' di domande. Il nostro è buon senso o un inquietante ritorno al passato, quando i limiti del buon costume erano in realtà solo limiti alla libera espressione?
  Mah, pensiamo. Domandiamoci. Tanto per.

1 commento:

  1. Penso che sia una fase attraverso la quale dobbiamo passare ciclicamente. A volte non si comprende il valore di ciò che si ha, come la libertà di espressione, fino a quando non si viene attaccati in prima persona. L'essere umano ha la memoria corta.

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